Il concetto di dogmatismo in Jung

Jung non considerò il dogmatismo nella sua accezione generica, come cioè dottrina rivelata da Dio e proposta come tale nell’ambito della religione,Carl Gustav Jung (1875-1961) verso la cui vasta fenomenologia peraltro egli ebbe un interesse assai articolato per l’intero corso della sua attività. Neppure Jung si interessò mai alle discussioni che si svolsero in sede filosofica aventi a tema come potesse essere definita la sua essenza speculativa. Egli piuttosto esaminò il dogmatismo come un atteggiamento mentale la cui natura sentì l’esigenza di dover circoscrivere attraverso l’indagine sulla psicologia di persone quali il padre, il reverendo Paul Jung, e Sigmund Freud, entrambe le quali incarnavano per lui l’archetipo paterno.

Questa scelta dell’autore di non considerare il concetto in sé stesso, nella sua valenza esclusivamente astratta, ma nella sua corrispondenza a situazioni esistenziali che lo riguardavano, è spiegabile con la propensione che egli ebbe a costruire il suo pensiero come se stesse conducendo una confessione di sé. I due uomini, in momenti delicati di transizione da una fase della vita di Jung ad un’altra più matura, assunsero verso lui un tipo di chiusura intransigente e sorda verso il suo desiderio di avere risposte che soddisfacessero i suoi dubbi sulle idee che gli trasmettevano e volevano che condividesse incondizionatamente.

Il genitore era un pastore protestante che durante l’adolescenza del figlio gli spiegava i concetti del credo cristiano in modo aridamente formale, svelandogli implicitamente una sua debolezza di fondo cioè l’assenza di una viva compenetrazione emotiva con i valori della sua fede. Quando Gustav lo assillava con le sue domande il padre si faceva irascibile e lo ammoniva: “Tu vuoi sempre pensare. Non si dovrebbe pensare, ma credere”.

Sigmund Freud  Sigmund Freud

Come è noto, la relazione di Jung con Freud fu notevolmente complessa. Essa iniziò nel 1907 e si esaurì nel 1914, anche se non interamente, con l’abbandono di Jung della presidenza dell’Associazione Psicoanalitica Internazionale. Tra le difficoltà che, abbastanza presto, Jung incontrò nei suoi rapporti con Freud ci fu l’intransigenza che quest’ultimo costantemente gli dimostrò a iniziare la discussione sugli elementi costitutivi della sua dottrina riguardante la “Libido”. Il maestro fu chiaro nell’avvertire l’allievo di non allontanarsi dalle sue teorie per evitare di trovarsi con lui in un contrasto insanabile e dicendogli che egli trattava i suoi colleghi che gli facevano resistenza esattamente come era abituato a trattare i pazienti. Jung nel 1912 in “Libido, simboli e trasformazioni” e in modo decisamente esplicito, nonostante l’intenzione contraddittoria di rispettare l’autorità del maestro, in “Nove lezioni sulla teoria psicoanalitica”, supera in modo critico e deliberato il concetto freudiano di Libido, notandone la troppo rigida e “deplorevole” unilateralità e affermando che “le teorie scientifiche sono solo proposte di come si potrebbero considerare le cose”.Carl Gustav Jung Il nostro autore attribuisce alla Libido un significato non più esclusivamente sessuale, come nelle concezioni freudiane, ma più vasto di energia generale, nel quadro di una visione dinamica del mondo psichico.

Freud, che pure nel 1915 avrebbe dichiarato che “il progresso della conoscenza scientifica non tollera alcuna rigidità nemmeno nelle definizioni”, di fronte a queste proposte si irrigidì talmente da determinare la rottura con Jung, nonostante lo considerasse suo erede alla direzione del movimento psicoanalitico internazionale.

Jung, quindi, attraverso l’esperienza conflittuale con il padre e con Freud, concepì il dogmatismo come una situazione psicologica intrinseca alla vita di relazione tra gli uomini; così essa può verificarsi in modo non esclusivamente dipendente dai loro orientamenti ideologici che, come nel caso di Freud, potrebbero paradossalmente ispirarsi anche a criteri di apertura liberale. Il nostro autore definì il dogmatismo “un cattivo funzionamento del pensiero in cui, quanto più i sentimenti sono rimossi (cioè nascosti alla coscienza), tanto maggiore è l’influenza dannosa che essi esercitano segretamente sul pensiero, il quale altrimenti funzionerebbe perfettamente. Il punto di vista intellettuale… per effetto dell’inconscia suscettibilità personale… diventa rigidamente dogmatico. L’autoaffermazione della personalità si trasferisce sul pensiero… Il critico viene stroncato, magari con invettive dirette alla sua persona, e non vi è argomento, per cattivo che sia, cui non si faccia ricorso… Tutte le tendenze psichiche che vengono rimosse dall’atteggiamento dogmatico si raggruppano nell’inconscio come antitesi e determinano l’insorgere di dubbi. Per difendersi dal dubbio l’atteggiamento cosciente diviene fanatico, giacché il fanatismo altro non è se non un dubbio ipercomopensato.”

Dopo l’abbandono di Freud, Jung, come era accaduto ad altri discepoli del maestro che incorsero in una situazione analoga, attraversò una crisi profonda durata diversi anni.Carl Gustav Jung Tuttavia, una volta che riuscì a superarla, egli si sentì libero di sviluppare le intuizioni che già caratterizzavano il suo pensiero negli anni che precedettero la rottura con Freud. Fra esse vi è in particolare quella riguardante gli archetipi a cui accenno per meglio chiarire il mio discorso attorno all’autore e per giungere ad alcune deduzioni che, a mio parere, potrebbero essere pertinenti al lavoro muratorio. Per Jung gli archetipi sono le immagini inconsce, primordiali ed ereditarie, che costituiscono l’inconscio collettivo, un’entità sommersa in un’ oscurità profonda, che è intrinseca alla totalità del genere umano, a prescindere dall’appartenenza geografica, storica e culturale. Tuttavia l’archetipo, a differenza della libido freudiana, non ha una dimensione misurabile nè costituisce una componente oggettiva che sia attiva stabilmente. Secondo Jung ” l’archetipo è come un vaso che non si può svuotare né riempire mai completamente. In sé esiste solo in potenza, e quando prende forma in una determinata materia, non è più lo stesso di prima. Esso persiste attraverso i millenni ed esige tuttavia sempre nuove interpretazioni. Gli archetipi sono immagini incrollabili dell’inconscio, ma cambiano forma continuamente.” Quindi essi non sono concepibili come fondamenti fissi dell’inconscio psichico, ma solo come possibilità allo stato puro, forme irrappresentabili che si attualizzano, attraverso varie modalità di manifestazione, nella mente e nelle scelte esistenziali dell’uomo. Quindi, in sede scientifica, sono individuabili come ipotesi non verificabili sperimentalmente.

Questo perché secondo Jung, “non possiamo raffigurarci ciò che esiste a fondamento nascosto del mondo fenomenico, perché non esiste rappresentazione che possa nascere al di fuori del mondo fenomenico”. Nell’ambito di questa concezione, come si vede volutamente indefinita e aperta, si colloca la teoria junghiana del simbolo: esso è ritenuto una manifestazione non univoca dell’archetipo che, rimanendo sempre in un’ombra inestricabile, non può mai sostituirlo. In altre parole, non possiamo spiegare il simbolo rinviando il suo significato fondamentale all’archetipo, perché questo non è mai circoscrivibile attraverso un procedimento discorsivo e logico ed è destinato a conservarsi nel mistero, sola condizione che gli consenta di generare significati vivi.Carl Gustav Jung Inoltre secondo Jung il simbolo mantiene la sua vitalità solo in quanto esprime il fenomeno della trasformazione di qualcosa in qualcos’altro.
Questo suo lato dinamico in genere si concretizza attraverso la sintesi di significati opposti. Ritengo che i punti che ho descritto dell’estremamente complesso pensiero di Jung potrebbero essere presi in considerazione come suggerimenti operativi dai fratelli nell’ambito del lavoro iniziatico nelle singole officine. L’esoterismo massonico, così come si circoscrive all’interno del nostro ritualismo, si realizza esclusivamente nello spazio del tempio i cui elementi simbolici presentano analogie – che non significano coincidenze esatte – con gli ambiti sacri delle religioni e delle culture antropologiche di molti luoghi del mondo. Questo aspetto potrebbe essere considerato come un’ipotesi, in senso junghiano, che il simbolismo massonico – con le sue figure geometriche e numeriche, le azioni rituali, certe formule verbali dalla cadenza ancestrale – abbia delle origini archetipiche comuni con quello di altre tradizioni spirituali.

A ciascun fratello, collocandosi nello spazio sacro del tempio, viene offerta la possibilità di sentirsi stimolato intimamente attraverso la partecipazione diretta, di tipo principalmente corporeo, ai riti. Tuttavia l’azione rituale ha un significato necessariamente diverso, a seconda dei fratelli che vi cooperano: i simboli parlano a ciascuno di essi in modo distinto. Ad esempio, banalizzando il mio discorso per essere più chiaro, non è possibile ritenere che gli elementi confermativi della morte iniziatica assumano il medesimo senso profondo per un giovane o per un maestro dall’età veneranda che stia andando incontro al tramonto della sua vita.
Oppure si pensi al rituale d’iniziazione: non è necessario fare riferimento a Jung, ma solo a un po’ di ovvio buon senso per comprendere che esso viene recepito differentemente se ricevuto all’inizio dell’età adulta o in un’epoca più matura, perché diverse vi sono le componenti profonde che muovono verso l’esperienza della realtà, compresa quella di ordine morale e spirituale. Per questo i liberi muratori nel sostenersi reciprocamente nel loro lavoro a mio parere non dovrebbero sforzarsi di tracciare un medesimo percorso interpretativo comune degli aspetti della ritualità cui hanno partecipato.Carl Gustav Jung Tale condotta potrebbe portarli a delle distorsioni innaturali nelle loro relazioni reciproche, ad opprimersi in un ambito discorsivo chiuso in cui ad essere danneggiati sarebbero fratelli dall’indole più introversa: questi potrebbero assumere un atteggiamento rinunciatario dinanzi alla possibilità di usare una voce distonica rispetto al coro degli altri. Inoltre, se ci atteniamo all’ipotesi che i simboli massonici devono essere intesi come canali attraverso cui si entra in comunicazione individualmente con gli archetipi, secondo molteplici vie possibili che si allacciano alla disponibilità emotiva e inconscia di ognuno, è necessario rinunciare all’idea che all interno dell’istituzione possa mai esistere qualcuno che sia in condizioni di dare un’interpretazione incontestabilmente corretta del lavoro rituale.
Questo è vero sia perché non esiste un canone massonico che possa determinare dei criteri certi circa l’osservanza di una ortodossia muratoria, sia perché qualsiasi interpretazione verbale è comunque limitata al piano di un discorso logico che pretende di aderire al simbolo – considerato un puro ente, per usare il linguaggio di Heidegger – ossificandolo nella sua sostanza viva, quindi isolandolo in una zona in cui è destinato al soffocamento. Pertanto la persona che ha la pretesa di credere esclusivamente in un determinato tipo di interpretazione riduce nella sua interiorità lo spazio idoneo a consentirgli di porsi in un atteggiamento sincero di ascolto verso la voce vivificante dei simboli.
E’ da ritenere che tale condotta può portare ad assumere quell’intransigenza dogmatica spiegata da Jung, espressione di sentimenti nascosti alla coscienza, verso quanti si trovano ad esprimere opinioni differenti dalle proprie.

Comunque il dogmatismo si confina da solo in un ambito di comunicazione convenzionale e chiusa che usa la veste esteriore dei simboli per perseguire finalità che sono estranee alla loro natura. In conclusione, ritengo che ispirarsi a Jung possa essere utile ad ogni fratello che voglia prendersi l’impegno di leggerlo, perché sul piano del metodo egli offre dei suggerimenti preziosi su come procedere a quell’opera di scandaglio dell’interiorità propria a cui ogni libero muratore è chiamato.

In considerazione di quanto ho scritto precedentemente, penso che è da ritenere fortemente riduttivo il giudizio negativo che l’ultraconservatore Guénon ha dato del pensiero di Jung, considerandolo “un procedimento di sovversione che consiste nell’impadronirsi di alcune nozioni tradizionali e nel capovolgerle… destinato a servire da veicolo a quella spiritualità alla rovescia, di cui, verso la fine del ciclo attuale, il regno dell’anticristo deve segnare il trionfo…”.

Il tono fanatico di tale dichiarazione dimostra chiaramente lo schematismo dogmatico che caratterizza il sistema di pensiero di Guénon, il cui concetto di tradizione viene sempre utilizzato per respingere gli aspetti più innovativi e stimolanti della cultura contemporanea.

Gabriele Lanci