LE RADICI DELLA MASSONERIA. I TEMPLARI

LE RADICI DELLA MASSONERIA

I TEMPLARI

qual è colui che tace e dicer vole,

mi trasse Beatrice, e disse: “Mira

quanto è ‘l convento de le bianche stole!

Dante, Paradiso, XXX-129

I TEMPLARI NELLA STORIA

L’Ordine dei “poveri cavalieri di Cristo fu fondato nel 1119 da Ugo di Payns e da pochi altri cavalieri, fra cui Andrea di Montbard, zio di San Bernardo, con la finalità di proteggere i pellegrini cristiani in Terra Santa. San Bernardo compose poi in esaltazione dell’Ordine il De laude novæ militiæ. Ricevuta la regola dal Concilio di Troyes (1129), esso assunse il nome di Militia templi quando stabilì la sua sede a Gerusalemme nell’area dell’antico tempio di Salomone, nella moschea di al-Aqsa riadattata. I cavalieri del Tempio vestivano un abito bianco recante una croce rossa, innalzavano il gonfalone bianco e nero, il bauceant, la cui etimologia rimane incerta, ed utilizzavano un sigillo recante su una faccia un edificio circolare con colonne sormontato da una cupola rappresentante il santo sepolcro, e sull’altra due cavalieri montanti lo stesso cavallo. Su quest’ultima immagine si sono accumulate le interpretazioni più diverse. L’Ordine era costituito da cavalieri, fratelli laici, sacerdoti e aveva a capo un gran maestro, il magister militiæ templi.

Presto l’organizzazione monastico-cavalleresca ebbe numerose sedi non solo in Palestina ma anche in Europa, e si trasformò in una potenza economico-militare, non limitandosi a partecipare alle operazioni belliche in Terra Santa, ma assumendo funzioni di supporto logistico-finanziario per i pellegrini, e mettendo a punto a tale fine tecniche di trasferimento di denaro che precorrevano i tempi.

Dopo la fine dell’avventura crociata in Terra Santa i templari si ritirarono da essa e si trasferirono a Cipro e nelle loro sedi continentali, fra le quali spiccava per importanza il Tempio di Parigi. Nel 1307 il re di Francia Filippo il Bello inizia l’attacco giudiziario al Tempio, orchestrato dal funzionario regio Guglielmo di Nogaret, e poggiante sulle accuse di eresia, idolatria, collusione coi mussulmani e pratiche sessuali aberranti, avanzate dal templare rinnegato ed espulso dall’Ordine Esquieu de Floyran. Molto si è scritto sulle motivazioni dell’attacco, riconducendole alla volontà del re di impadronirsi dei beni del Tempio, o a quella di eliminare un’ingombrante organizzazione di obbedienza papale, presente in modo ramificato sul territorio e ostacolo a quel progressivo rafforzamento del potere regio che iniziava allora e che doveva portare alla costituzione in Francia di uno stato assoluto, con il superamento definitivo degli ordinamenti feudali. Senza aspettare l’esito dell’inchiesta ecclesiastica Filippo fa arrestare i templari ed ottiene confessioni in parte estorte con la tortura, ma in parte rese spontaneamente. Papa clemente V, dalla sua sede di Avignone, dopo iniziali proteste per l’irregolarità delle procedure legali cede la conduzione degli atti processuali e dell’inchiesta a organismi controllati dal potere regio. Alla ripresa degli interrogatori molti templari ritrattano e trentotto di essi muoiono sotto la tortura.

Nel maggio 1310 Filippo di Marigny, arcivescovo di Sens, condanna al rogo 54 templari non come eretici ma come relapsi, senza aspettare le conclusioni delle commissioni istituite dal papa in accordo col potere regio.

Nell’ottobre del 1313 Clemente V, per risolvere una questione che vedeva il progressivo indebolirsi del prestigio papale, convoca il concilio di Vienne, che non riconosce la colpevolezza dei templari ma scioglie l’Ordine. I beni di questo sono attribuiti all’Ordine rivale dell’Ospedale. In seguito i dignitari templari sono processati da una commissione di tre cardinali, in realtà controllata dal re, che condanna alla prigione perpetua gli imputati. Il gran maestro dei templari Giacomo de Molay e il maestro di Normandia Goffredo di Charnay protestano la loro innocenza e ritrattano tutte le confessioni rese in precedenza: sono condannati al rogo come relapsi e bruciati su un’isoletta della Senna nel maggio 1314, suscitando l’ammirazione degli astanti per la loro ferma condotta durante il supplizio. Così riporta le ultime parole di Giacomo de Molay il cronista dell’epoca Goffredo di Parigi: “Signori, slegatemi le mani un po’ perché io possa almeno giungere le mani e fare orazione verso Dio, poiché è il momento. Veramente mi conviene adesso morire. Dio sa che hanno peccato per il torto contro di me. Presto un cattivo momento verrà per quelli che ci condannano a torto. Signori, sappiate che tutti quelli che ci sono contrari ne avranno a soffrire. In fede mia voglio morire. Vi prego di girare il mio viso verso la Vergine Maria da cui è nato nostro signore Cristo.”

Il cronista fiorentino Giovanni Villani afferma che le ceneri dei suppliziati vennero raccolte da qualcuno come reliquie. Nello stesso anno muoiono Clemente V e Filippo il Bello: era sorto il mito della “vendetta templare.

I TEMPLARI NEL MITO E NELL’ESOTERISMO

Nella prima metà del settecento il discorso del cavalier Ramsey ai massoni francesi, che alcuni studiosi mettono in relazione con la nascita degli alti gradi massonici, lanciò l’idea che vede i crociati di Terra Santa come fondatori della massoneria, la quale sarebbe poi sopravvissuta al loro ritorno in patria solo in Scozia. Il discorso di Ramsey non menziona direttamente i templari, ma riflette un’atmosfera in cui il mito templare doveva trovare inevitabilmente la sua collocazione, in quanto in esso si trovano collegate strettamente la cavalleria medievale e la massoneria.

Successivamente in Germania cominciarono a circolare leggende che vedevano i templari depositari di un’arcana sapienza risalente alla antica comunità ebraica degli Esseni. Secondo tali leggende Giacomo de Molay, prima di essere suppliziato, avrebbe rivelato suo nipote, il conte di Beaujeu, l’esistenza di un segreto dei templari connesso con l’antica sapienza, ma anche con favolose ricchezze, che si sarebbe trovato all’interno delle colonne cave Jackin e Boaz decoranti l’ingresso della cripta funebre dei gran maestri. Dopo il supplizio del loro gran maestro alcuni templari si sarebbero rifugiati in Scozia portando con sé i segreti del Tempio. Un ricco barone tedesco il cui fascino carismatico era pari solo alle capacità organizzative, Carl Gotthelf von Hund, professando ispirazione da misteriosi “superiori sconosciuti”, fondò un’organizzazione massonico-templare rigidamente gerarchica e selettiva: la “Stretta Osservanza”, attraverso la quale ambiva a far rivivere il templarismo. L’impresa di Hund raggiunse un iniziale successo, reclutando i più bei nomi della nobiltà, poi incontrò difficoltà e scetticismo, terminando definitivamente con la morte del barone sopraggiunta nel 1776. Cominciarono poi a sorgere sospetti politici nei confronti dei massoni templaristi: una sulfurea libellistica fece circolare l’idea che dietro il paravento templare si muovessero gruppi sovversivi politici, e che i neotemplari avessero ereditato dai templari storici una dottrina segreta gnostica. Il mago italiano Cagliostro, già animatore del tentativo di costituire un’obbedienza massonica eterodossa di rito “egiziano”, confessò all’inquisizione romana, di cui era prigioniero, che dietro la “Stretta Osservanza” si sarebbe celata una “Alta Osservanza”, costituita da templari votati a vendicare Giacomo de Molay attraverso la distruzione delle monarchie e della chiesa cattolica. Da lì a pochi anni scoppiò la rivoluzione francese, e le varie suggestioni dell’esistenza di una congiura templare acquisirono per ciò stesso peso, venendo utilizzate da altri autori, legati agli ambienti della restaurazione monarchica che seguì al “Congresso di Vienna”, come lo scrittore abate Barruel e l’orientalista Hammer Purgstall, per elaborare la tesi che pone all’origine della rivoluzione francese un complotto massonico a sfondo gnostico. Tale tesi gode ancora di molta fortuna non solo negli ambienti politici più retrivi ma anche in quelli dell’occultismo popolare, e viene periodicamente rilanciata in nuove forme, prestandosi a fornire la base di una certa propaganda politica di infimo livello, oltre a che a costituire un ottimo affare editoriale.

Alcuni dei sistemi di alti gradi, che sopravvivono tuttora come massoneria dei “riti”, recano in sé importanti elementi di riferimento ai templari, alla loro storia e al loro mito, che non cessa di essere al centro di ricerche e trattazioni da parte di storici e studiosi di esoterismo.

LA VERITÀ NEL MITO

Nell’articolo “I custodi della terra santa” René Guénon indica nei monaci guerrieri del Tempio i “custodi della Terra santa” e del “Centro supremo”, la cui funzione consisteva nell'”assicurare certe relazioni esterne e soprattutto nel mantenere i legami fra la tradizione primordiale e le tradizioni secondarie e derivate” grazie alla loro coscienza di “ciò che è al di là di ogni forma, vale a dire dell’unica dottrina fonte ed essenza di tutte le altre, che altro non è che la tradizione primordiale”. René Guénon aggiunge che il Tempio di Salomone, “per il fatto di avere di fatto cessato di esistere materialmente, poteva avere solo un significato ideale, come immagine del Centro supremo, al pari di ogni centro spirituale subordinato” e che il carattere dei templari fu tale che “per svolgere il compito loro assegnato che concerneva una determinata tradizione, vale a dire quella dell’Occidente, essi dovevano rimanere esteriormente legati alla forma di questa tradizione; ma, nello stesso tempo, la coscienza interiore della vera unità dottrinale doveva renderli capaci di comunicare con i rappresentanti di altre tradizioni: è ciò che spiega le loro relazioni con certe organizzazioni orientali, e, naturalmente, con quelle che svolgevano altrove un ruolo simile al loro”.[1]

L’indicazione di Guénon pone l’Ordine del Tempio al centro della tradizione occidentale, di cui esso doveva costituire l’elemento vivificatore di tutti gli aspetti exoterici ed esoterici e il canale di comunicazione con le altre tradizioni, come pure col deposito dottrinale comune a tutte le tradizioni indicato dal metafisico di Bloy come “tradizione primordiale”. Tale concezione contrasta nettamente con le interpretazioni riduttive assegnate al templarismo dalla maggior parte degli storici e degli studiosi accademici, fatta salva qualche importante eccezione. Gli storici accademici tendono a negare l’esistenza di un esoterismo templare e di una dottrina segreta dell’Ordine, come pure negano l’esistenza di rapporti segreti fra templari ed élite spirituale mussulmana, basandosi sulla sostanziale fedeltà del Tempio alla cristianità nella sua storia politica e militare.

Forse il modo migliore per accostarsi al mistero templare consiste nel considerare le accuse formulate contro i cavalieri templari durante il processo, e il contenuto delle risposte fornite dagli accusati. Tali accuse comprendevano:

  1. il rinnegamento di Gesù Cristo con una formula ripetuta tre volte e accompagnata da un triplice sputo sul crocifisso;
  2. un triplice bacio rituale sulla regione sacrovertebrale, sull’ombelico e sulla bocca ricevuto dagli iniziandi all’ammissione;
  3. l’omosessualità;
  4. l’idolatria verso una misteriosa testa umana barbuta. I templari dovevano portare poi una cordicella che sarebbe stata in precedenza posta al collo della stessa;
  5. la mancata consacrazione dell’ostia durante la messa da parte dei preti templari.

È evidente il conto in cui si debbano tenere le confessioni estorte con la tortura; dalle confessioni rese dai centotrentotto templari sottoposti a interrogatorio senza tortura si desume che:

  1. tutti ammisero il rinnegamento di Gesù Cristo e i baci rituali;
  2. tutti, tranne tre, negarono l’omosessualità; tutti la mancata consacrazione dell’ostia;
  3. tutti ammisero l’esistenza della cordicella e della testa ma con dichiarazioni oscure e contraddittorie.

Particolare importanza rivestono le confessioni del rinnegamento di Gesù Cristo rese senza tortura dai vertici gerarchici del tempio: il gran maestro Giacomo de Molay, il visitatore di Francia e seconda autorità del tempio Ugo di Pairaud, il precettore di Normandia Goffredo di Charnay e il precettore d’Aquitania e del Poitou Goffredo di Gonneville ammisero il rinnegamento. Per contro, nessuno degli appartenenti alle gerarchie templari, composte peraltro da uomini d’azione “illetterati”, e come tali con scarsa o nessuna conoscenza del latino e delle questioni teologiche, seppe o volle dare una spiegazione del significato del rinnegamento, che dichiararono di aver eseguito di malavoglia, con grande turbamento e senza comprensione.

Questa mancanza di comprensione dei contenuti dottrinali di rituali così conturbanti, non solo da parte dei comuni fratelli ma anche dei dirigenti del Tempio, ove se ne ammetta la buona fede conduce a sospettare l’esistenza nel Tempio di una gerarchia occulta, detentrice di una dottrina segreta ed al corrente del vero significato dei rituali. La questione dell’esistenza di una gerarchia templare parallela, non coincidente o solo parzialmente coincidente con la gerarchia esteriore, appare strettamente collegata alla questione dell’esistenza di una regola segreta del Tempio, emersa nel processo da rivelazioni indirette e mai provate documentalmente.

Tutto fa supporre che il nucleo segreto della dottrina dell’Ordine, espresso simbolicamente nel rituale del rinnegamento del crocifisso, vertesse sul problema cristologico, lo stesso problema al centro di tanti scontri fra la chiesa istituzionale, come era andata configurandosi teologicamente nei prime tre secoli del cristianesimo, e i vari gruppi, spesso a carattere gnostico, considerati da questa come “eretici” ed esprimenti sulla questione cristologica dottrine diverse da quelle della “grande chiesa”.

Abbastanza illuminante è la risposta che sarebbe stata data sul significato del rituale del rinnegamento di Gesù Cristo dal precettore di Bourges al templare Bosco di Masualier: “non t’impicciare – mi disse – si tratta di un profeta, è troppo lungo da spiegare”.[2]

Sullo stesso punto così invece rispose l’alto dignitario Goffredo di Charnay, poi martirizzato con de Molay: “il fratello Amaury mi disse di non credere a colui la cui immagine vedevo dipinta, perché era un falso profeta, non era Dio”.[3]

Queste due risposte apparentemente contraddittorie trovano un piano di unione in antiche concezioni cristologiche gnostiche, imperniate sul non essere l’immagine crocefissa della croce il vero Cristo. Così negli apocrifi “Atti di Giovanni” Gesù istruisce l’apostolo Giovanni sul mistero della crocifissione: “Giovanni, per la gente di laggiù io vengo crocifisso a Gerusalemme e colpito con lance e canne e dissetato con aceto e fiele… Io non sono neanche quello sulla croce, (io) che tu ora non vedi, ma di cui odi soltanto la voce. Ciò che non sono, questo sono stato considerato essere, io che non sono ciò che per molti altri ero. Piuttosto ciò che essi diranno di me è basso e a me non confacente…La (non) uniforme moltitudine intorno alla croce è la natura inferiore… Pertanto non ho sofferto nulla di quello che ti diranno di me, ma anche quella sofferenza che ho mostrato, danzando, a te e agli altri voglio esser certo che sia chiamata un mistero… Tu senti dire che ho sofferto – eppure non ho sofferto; che sono stato trafitto – eppure non sono stato colpito, che da me è uscito fuori il sangue – eppure non è fuoriuscito; in breve (sappi) che io non ho avuto nulla di quanto dicono di me…”.[4]

Pur senza cercare di istituire punti di contatto e paralleli col brano precedente, non si può fare a meno di essere richiamati alla concezione cristologica islamica e a ciò che si ritrova nel Corano sulla crocifissione: “né lo uccisero né lo crocifissero, bensì qualcuno fu reso ai loro occhi simile a lui (e in verità coloro la cui opinione è divergente a questo proposito son certo in dubbio né hanno di questo scienza alcuna, bensì seguono una congettura ché, per certo, essi non lo uccisero – ma Dio lo innalzò a sé, e Dio è potente e saggio)”.[5]

Il dettato coranico costituisce nell’esoterismo islamico il fondamento di una complessa profetologia gnostica, che trova il suo vertice nell’opera del grande sufi andaluso Muhiddin ibn al ‘Arabi.

Si può ipotizzare che i templari attraverso contatti avuti con l’Islam in Terra Santa ne avessero adottato la cristologia, o fossero, già dalla loro origine, portatori di analoghe concezioni, trasmessesi segretamente in Europa. La conoscenza approfondita di tali concezioni dottrinali non poteva però essere patrimonio di tutti i templari, bensì di una ristrettissima élite esoterica all’interno del Tempio, in grado di porsi allo stesso livello della élite corrispondente dell’esoterismo islamico e di comunicare segretamente con essa.

Ci ritroviamo dunque a fronteggiare il problema dell’esistenza di un esoterismo interno all’Ordine del Tempio e dei rapporti segreti di questo con l’esoterismo islamico, realtà entrambe risolutamente negate dagli storici accademici come tarde mitologie romantiche. Tuttavia l’idea di un esoterismo templare è tutt’altro che recente, essendo coeva all’Ordine stesso: il poeta tedesco Wolfram von Eschenbach, vissuto fra la seconda metà del 1100 e l’inizio del 1200, nel suo capolavoro “Parsival” pone i templari a guardia di un centro esoterico nascosto, Monselvaggio, dove è custodito il più arcano e sfuggente mistero dell’esoterismo occidentale, il Santo Graal, multiforme rappresentazione simbolica della dottrina segreta e della realizzazione iniziatica. Il grande poeta tedesco, che ha attinto copiosamente per la sua opera a materiali simbolici orientali, evidentemente pervenuti in occidente fino a lui attraverso canali nascosti, imparenta i suoi eroi, fra cui lo stesso Parsifal, alla nobiltà mussulmana. Alla luce del poema di Wolfram l’idea di una élite templare, centro vivificante della tradizione occidentale e mediatrice dei contatti fra essa e quella orientale attraverso l’esoterismo islamico, riprende tutta la sua forza, forza che in realtà nel corso dei secoli essa non ha mai perso, dai lontani tempi del trovatore Wolfram von Eschenbach fino all’epoca presente.

Piero Vitellaro Zuccarello

  • (1) René Guénon, Simboli della Scienza sacra, Adelphi, pag.87-88
  • (2) Jean Markale, I templari custodi di un mistero, Sperling & Kupfer, pag. 169
  • (3) ibidem pag. 169
  • (4) citato in: Kurt Rudolph, La gnosi, Paideia editrice, pag. 228
  • (5) Il Corano, IV 157-158, tr. Bausani, Sansoni

 

Bibliografia:

  • Alain Demurger, Vita e morte dell’Ordine dei templari, Garzanti
  • Il Corano, tr. Bausani, Sansoni
  • Guénon René, Simboli della Scienza sacra, Adelphi
  • Markale, Jean, I templari custodi di un mistero, Sperling & Kupfer
  • Partner Peter, I Templari, Einaudi
  • Ponsoye Pierre, L’islam e il Graal, Edizioni all’insegna del Veltro
  • Rudolph Kurt, La gnosi, Paideia editrice