Simbologia della Caverna

S. C. 1:.
S. C. 1:.R :. L:. Pitagora n. 856 all’Oriente di Taranto

Il tema da trattare non è semplice, ma ho voluto occuparmene per metabolizzarlo io e provare a viverlo assieme, in quanto mi è parso di scorgere delle potenti similitudini tra quanto descritto da Platone nel Mito della Caverna ed il viaggio iniziatico che tutti abbiamo fatto e continuiamo a fare. E’ una allegoria studiata in ogni tempo, alcuni autori la hanno anche scorta nella struttura della Divina Commedia intesa come viaggio iniziatico e ascensionale, ma più semplicemente è per me un racconto dell’uomo a se stesso, una sorta di promemoria, senza spazio e senza tempo.

Inoltre nel racconto del “viaggio” di Platone vi sono anche “simboli”, su cui meditare, senza contare poi che la Caverna è di per se un Simbolo nella trattazione che ne fa Renè Guenon nei  SIMBOLI DELLA SCIENZA SACRA (1975 ADELPHI EDIZIONI S.P.A. – MILANO).

Il mito della caverna dicevamo è uno dei più noti insegnamenti di Platone che possiamo leggere al VII capitolo della “La Repubblica” (Platone, La Repubblica, libro VII, Ed Laterza, trad.: Franco Sartori).

antrum platonicum

Ecco quindi il racconto, ovviamente in forma di dialogo, nelle parole di Platone che ho inteso dividere per F A S I, cui farò seguire, per non spezzarne il ritmo, alcune mie considerazioni. E’ Socrate a parlare a Glaucone e, descrivendo la condizione dell’uomo in merito alla conoscenza, dice:

Prova a paragonare la nostra natura, per ciò che riguarda educazione e mancanza di educazione[1] (ovvero per ciò che riguarda la conoscenza e la non conoscenza ndr), ad una immagine come questa:

Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna con l’entrata aperta alla luce, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro sin da fanciulli incatenati gambe e collo, così da stare fermi e potere vedere soltanto in avanti, incapaci a causa della catena di volgere attorno il capo.

Immagina ancora che alle loro spalle brilli la luce di un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata  una  strada.

Lungo questa pensa di vedere costruito un muricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini.

– Vedo, rispose.     

– Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolo oggetti di ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altre figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate; e, come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono.

– Strana immagine è la tua, disse, e strani sono quei prigionieri.

Somigliano a noi, risposi;

credi che tali persone possano vedere, anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte?

– E come possono, replicò, se sono costretti a tenere immobile il capo per tutta la vita?

-E per gli oggetti trasportati non è lo stesso?

– Sicuramente.

Se quei prigionieri potessero conversare tra loro, non credi che penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni?

– Per forza. –

E se la prigione avesse pure un’eco dalla parete di fronte ? Ogni volta che uno dei passanti facesse sentire la sua voce, credi che la giudicherebbero diversa da quella dell’ombra che passa?  

– Io no, per Zeus!, rispose.

– Per tali persone insomma, feci io, la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti artificiali.

– Per forza, ammise.

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INIZIAZIONE

Esamina ora, ripresi, come potrebbero sciogliersi dalle catene e guarire dall’in-coscienza.

Ammetti che capitasse loro naturalmente un caso come questo: che uno fosse sciolto, costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce; e che così facendo provasse dolore e il barbaglio[2] lo rendesse  incapace  di scorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre. Che cosa credi che risponderebbe, se gli si dicesse che prima vedeva vacuità prive di senso, ma che ora, essendo più vicino a  ciò che è  ed  essendo  rivolto  verso  oggetti  aventi  più essere,  può  vedere  meglio? e se,  mostrandogli  anche  ciascuno degli  oggetti che  passano,  gli  si  domandasse  e  lo si  costringesse  a  rispondere   che  cosa  è?

Non credi che rimarrebbe dubbioso e giudicherebbe più vere le cose che vedeva prima di quelle che gli fossero mostrate adesso?

Certo, rispose.

II. – E se lo si costringesse a guardare la luce stessa, non sentirebbe male agli occhi e non fuggirebbe volgendosi verso gli oggetti di cui può sostenere la vista? e non li giudicherebbe realmente più chiari di quelli che gli fossero mostrati ?

– È cosi, rispose . –   

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ELEVAZIONE E CONOSCENZA

Se poi, continuai, lo si trascinasse via di li a forza, su per l’ascesa scabra ed erta, e non lo si lasciasse prima di averlo tratto alla luce del sole, non ne soffrirebbe e non s’irriterebbe di essere trascinato? E, giunto alla luce,  essendo  i suoi occhi abbagliati, non potrebbe vedere nemmeno una delle cose che ora sono dette vere.

 – Non potrebbe, certo, rispose, almeno all’improvviso. –

Dovrebbe, credo, abituarvisi, se vuole vedere il mondo superiore.

E prima osserverà, molto facilmente, le ombre e poi le immagini degli esseri umani e degli altri oggetti nei loro riflessi nell’acqua; e infine gli oggetti stessi; da questi poi, volgendo lo sguardo alla luce delle stelle e della luna, potrà  contemplare  di notte i corpi celesti e il cielo stesso più facilmente che durante il giorno il sole e la luce del  sole.      

– Come  no?

– Alla fine, credo, potrà osservare e contemplare quale è veramente il sole, non le sue immagini nelle acque o su altra superficie, ma il sole in se stesso,  nella regione  che gli è propria.     

– Per forza, disse.             

-Dopo di che, parlando del sole, potrebbe già concludere che è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile, e ad essere  causa, in certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni vedevano..

-È chiaro, rispose, che con simili esperienze concluderà così.

 

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MEDITAZIONE E ACCETTAZIONE DELLA CONOSCENZA

– E ricordandosi della sua prima dimora e della sapienza che aveva colà e di quei suoi compagni di prigionia, non credi che si sentirebbe felice del mutamento e proverebbe pietà per loro ?

-Certo.

– Quanto agli onori ed elogi che eventualmente si scambiavano allora, e ai premi riservati a chi fosse più acuto nell’osservare gli  oggetti  che passavano e  più  rammentasse   quanti  ne  solevano  sfilare  prima  e  poi  e insieme,  indovinandone  perciò  il  successivocredi  che  li ambirebbe e che invidierebbe  quelli che tra i prigionieri avessero onori e potenza ? O …(…omississ…) che preferirebbe patire di tutto piuttosto che avere quelle opinioni e vivere in quel  modo?          

– Cosi penso anch’io, rispose; accetterebbe  di  patire  di tutto  piuttosto  che vivere  in  quel modo.

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RITORNO ALLA VITA PROFANA E AI SUOI PERICOLI

– Rifletti ora anche su quest’altro punto, feci io.

Se il nostro uomo ridiscendesse e si rimettesse a sedere sul medesimo sedile, non avrebbe gli occhi  pieni di tenebra, venendo all’improvviso dal sole?         

– Si, certo, rispose.  

– E se dovesse discernere nuovamente quelleombre  e  contendere  con  coloro  che  sono  rimasti  sempreprigionieri, nel periodo in cui ha  la vista  offuscata,  primache  gli  occhi tornino  allo  stato  normale ? e  se  questoperiodo in cui rifà l’abitudine fosse piuttosto lungo? Non sarebbe egli  allora  oggetto di riso? e non  si direbbe di lui che dalla sua ascesa torna con gli occhi rovinati e che non  vale  neppure  la  pena  di  tentare di  andar  su?  E  chi prendesse  a  sciogliere  e  a  condurre  su quei  prigionieri forse  che  non  l’ucciderebbero,  se potessero  averlo tra  le mani e ammazzarlo ?

– Certamente, rispose.

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Ci fermiamo qui Fratelli nella lettura delle parole di Platone.

Ognuno di noi, credo, ha potuto cogliere l’immediato parallelismo con i temi della nostra istituzione.

La descrizione della “condizione umana di ignoranza”  con gli uomini incatenati nella caverna potrebbe essere letta come la condizione profana; quello “spezzare le catene” ed essere condotti in un primo percorso verso la luce, che non è ancora quella del sole ma è fuoco che arde nella caverna, lo si può leggere come lo staccarsi dalla vita profana e la “iniziazione” di un percorso verso La Conoscenza; e la descrizione della salita “per l’ascesa scabra ed erta” è esattamente quel percorso continuo di elevazione che facciamo in loggia sino a che oltre a vedere il “Sole”,  il sole stesso viene “capito”, “concepito” , e conosciuto nel suo “essere” originario “non le sue immagini nelle acque o su altra superficie, ma il sole in se stesso,  nella regione  che gli è propria”, il che è l’intellezione per Platone.

Con lo strumento del dialogo poi, come facciamo noi in loggia, l’iniziato “parlando del sole” comprende “… che è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile” e quindi coglie l’essenza di ogni altro oggetto di cui  prima, nella vita profana quando era “incatenato”, poteva solo scorgere le immagini, le ombre che lui riteneva essere le cose vere. Poi arriva la consapevolezza ed il ritorno molto problematico alla condizione precedente.

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In questo percorso, secondo Platone, l’iniziato coglie la idea stessa di bene avendo elevato la sua anima al mondo delle idee, e questo dato coincide con la idea che aveva Socrate del bene assimilandolo alla conoscenza in quanto tale, ma Platone va oltre e ci riporta con i piedi per terra e ci dice che ogni viaggio esige il suo ritorno, e in qualche modo è questa la parte più difficile e rischiosa. Ebbene vi è un momento di ascesi, di contemplazione in cui quasi l’iniziato si può perdere (un po’ come gli eremiti), poi però è chiamato a tornare indietro.

A ritornare tra le “tenebre” nella condizione umana, profana. Quello che gli succede è facilmente comprensibile. Prima di tutto, inducendo alla meditazione, Platone fa ammettere che rappresentandosi quella che era la condizione, prima di “comprendere le cose”, in qualche modo la si commisera e si è dispiaciuti della condizione degli uomini che non “hanno compreso” e quindi non conoscono “la verità”. Poi Platone da l’ultima sferzata, ci costringe a visualizzare come tutti gli altri uomini, prigionieri e incatenati, possano “percepire” il “diverso”, noi potremmo dire “l’iniziato” e di certo le reazioni di costoro non sono benevole in quanto oltre allo scherno arrivano addirittura alla uccisione del “diverso”.

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Molteplici scaturiscono ancora gli spunti di riflessione.

1.In primo luogo viene da meditare sull’antica diatriba tra “l’essere” e “l’apparire”, tra forma e sostanza, to be or not to be per dirla con l’Amleto di Shakespeare.

Calando poi la questione ai giorni nostri, io credo che siamo passati dalla società delle “ideologie” ad una società dei consumi senza etica, evoluta oggi in una società della immagini oramai sempre più virtuali e delle loro “intelligenze” eterodirette, manipolate e quindi manipolanti la “verità”.

Nel suo testo “Consumo, dunque sono” Bauman cita una giornalista che commenta la spasmodica voglia di successo di una cantante e dice: “la vita non è fatta solo di media … ma quasi nella società dell’informazione essere invisibili equivale a morire”!

Potremmo dire quindi che il titolo giusto oggi per Bauman potrebbe essere “Appaio quindi esisto”, oppure “Twitto” o “Whatsuppo quindi sono” e tutto questo con buona pace di Cartesio con il suo Cogito ergo sum!

Ed infatti è proprio questa, mi pare, la finalità ultima, forse inconsapevole (e per questo più grave), della orwelliana società dell’immagine, della società virtuale: non farci più pensare o peggio manipolare i nostri pensieri!

Il che per noi massoni ammetterete che sia davvero un affronto! A meno che anche noi non si ceda alla lusinga “dell’immagine” ed in modo ancora più colpevole, perché dovremmo “conoscere” e nutrirci dei nostri principi fondamentali, non si finisca per “apparire” massoni senza “esserlo” davvero!

 

2. Viene poi da pensare ai simboli, a cosa sono per noi e se davvero ne cogliamo ancora il significato analogico, se ancora ci suggeriscono riflessioni e approfondimenti, o rimangono invece  figurine o spillette a mo’ di “specchietti per le allodole”.

 

3. Infine vi è da considerare la condizione dell’uomo che ha “conosciuto”, che ha appreso il bene, la sostanza del bene, essendosi elevato a “più alto fattore” ovvero, nel nostro parallelismo, essendosi forgiato al “sole” dei principi massonici, ed una volta conosciuta la “verità” debba poi ridiscendere tra “i metalli”, tra “le catene” della vita profana.

Ebbene fratelli è per me chiaro il monito.

Quel percorso di “andata e ritorno”, vive con noi, è dentro noi, nella dualità di ciò che siamo ed è un richiamo a noi stessi, a migliorarci sempre, andando oltre le apparenze, oltre le “propagande”, oltre “Matrix” e “il Grande Fratello”, oltre noi stessi se necessario, e a pensare con la nostra testa per migliorare l’umanità perseguendo il concetto di QUALITA’.

E’ chiaro che l’aspirazione più avanzata è quella di riuscire a coniugare “forma” e “sostanza”, “l’immagine” e “l’essere” ma è anche chiaro che per fare questo siamo tenuti a perseguire quella idea di bene che abbiamo appreso, ovvero a mantenere in uno stato di costante “elevazione” la nostra anima perché sia protratta al bene ed al progresso della umanità.

Solo così ogni volta che vi sarà da scegliere, avendo conservato l’idea del bene, sceglieremo anche contro ogni imposizione e ogni “forma”, sempre e comunque, la “sostanza” che coincida con le nostre idee.

Insomma: Conoscere il bene non basta! Dobbiamo sceglierlo sempre al bivio costante con il male, per rinnegare il male e perché davvero il vizio sia confinato alle oscure e alle profonde prigioni di cui parliamo.

Questo dobbiamo fare anche per non finire di credere che la verità sia contenuta nelle “proiezione” di  “quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini”.

Estroflessa quella caverna che è simbolo della nostra loggia, del nostro Tempio, appare l’immagine della vita reale, come è o meglio come dovremmo renderla. Sempre memori del bene, sia tra i profani che in loggia, dobbiamo anche essere capaci di praticarlo su noi stessi, sulle nostre scelte, e quindi diffonderlo, assieme ai nostri principi, con le dovute accortezze perché il “rischio” di non essere capiti come accade al filosofo tornato nella caverna è molto alto ed il rischio che egli stesso, assassinato, muoia assieme ai suoi pensieri è altrettanto presente in ogni epoca che la umanità ha vissuto.

Di qui, specie nella nostra società virtuale e dell’immagine, il ruolo ancora più vivo della nostra istituzione, custode, baluardo del pensiero e della sua libertà.

Ho scritto, del che Platone avrebbe da ridire per aver in qualche modo contaminato le mie idee che affido però con molto affetto alla vostra saggezza.

 

[1] Nel senso di “sapere”, “conoscere”, senso trattenuto oggi dalla parola inglese education.

[2] breve e/o debole emissione di luce.