La ricerca della Perfezione (1 di 2): il Lavoro individuale

(seconda parte: click qui per raggiungerla)

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L’immagine del Tempio incompiuto fa pensare a delle rovine, una volta perfette e ora in decadimento: la Perduta Tradizione primordiale.

Oppure sottolinea che il Mondo materiale per definizione è imperfetto, mentre la perfezione appartiene allo Spirito.

Ma quale persona, sana d’intelletto, inizierebbe un viaggio se, ancor prima di partire, fosse convinta che la meta è irraggiungibile, o perché sepolta nel passato o perché impossibile da conseguire nel corso di questa vita prima della morte ?

Oppure ancora, a prescindere dal destino individuale, potremmo dire che naturalmente l’evoluzione, selezionando alcune caratteristiche, quelle dominanti, a scapito di altre, quelle recessive, porterà l’umanità alla perfezione ?

E visto che è un fatto collettivo, non individuale, potremmo limitarci a crogiolarci al sole, in attesa che i nostri bis-bis-bis nipoti diventino perfetti ?

La prima constatazione è che l’impegno personale è indispensabile, perché altrimenti continueremo, pur a pancia piena e con abiti firmati, a causare sofferenza agli altri e a noi stessi.

Negli ultimi 5.000 anni gli esseri umani, di generazione in generazione, sono rimasti sostanzialmente identici per conformazione fisica o comportamentale.

Più di recente ai progressi materiali, al benessere, non ha corrisposto una evoluzione altrettanto evidente in campo morale o spirituale.

Non contenti di aver completamente stravolto in questi ultimi secoli il nostro rapporto con l’ambiente, con la flora, con la fauna e anche coi nostri simili, ora stiamo pericolosamente alterando i meccanismi fisiologici.

Nel tempo l’evoluzione ha selezionato un meccanismo per cui nel nostro cervello produciamo dopamina e proviamo piacere quando ci nutriamo, ci riproduciamo o cooperiamo coi nostri simili, e persino quando pregustiamo di farlo.

Le più recenti droghe sintetiche sfruttano questo meccanismo per creare dipendenze: quel piacere che dovrebbe ricompensare la “buona azione evolutiva” viene stimolato dall’uso di droghe sintetiche che creano dipendenza, stati confusionali, aggressività e depressioni incurabili, pregiudicando gravemente le capacità di memoria e di riflessione e falsando i meccanismi di apprendimento.

Occorre dunque uno personalissimo sforzo per impadronirci del controllo della nostra vita: per evolverci verso la perfezione non possiamo contare né su meccanismi biologici più o meno inconsapevoli, né sul semplice passare del tempo.

Solo operando attivamente potremo aspirare a qualche cosa di più del riempirci la pancia, far figli e ottenere l’approvazione degli altri, intrappolati negli schemi coattivi degli impulsi naturali (la natura ci fa produrre adrenalina per facilitare le reazioni di attacco o difesa, e ci premia con endorfine, quando facciamo quel che vuole, ossia quando trasmettiamo il nostro patrimonio genetico).

Da dove si comincia ?

Ricordate Parsifal ? Lui, Eroe per eccellenza, nel castello del Re Pescatore vede la processione del Graal, è quasi giunto alla meta -là dove Lancillotto non è potuto arrivare a causa dei suoi attaccamenti mondani- eppure non sa formulare nessuna domanda e, al mattino, si risveglia nella Foresta, quella stessa dove dimoriamo tutti noi.

Prima di tutto, dunque, dobbiamo imparare a interrogarci, se desideriamo ottenere risposta.

Allora chiediamoci: cos’è la perfezione ?

In cuor mio so che esiste la perfezione. Ma cosa sia, e come raggiungerla, non saprei proprio dirlo.

Potremmo dire di tutto e di più. Come quei saggi che, entrati in una stanza buia in cui riposava un elefante, ne toccavano uno la coda, uno la proboscide, uno la zanna e così via, riportandone impressioni diversissime, senza riuscire a capire che di un elefante si trattava, perché nell’oscurità perdevano il senso dell’insieme.

Il difficile è riconoscere qualitativamente in cosa consiste la perfezione.

Là dove la ragione tace, possono aiutarci alcune immagini ed un semplice esercizio.

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Nel Convivio Dante spiega che la Divina Commedia ha quattro significati (letterale, allegorico, morale e anagogico, ossia che conduce in alto).

Ricordate ? Il Pellegrino esplora l’inconscio attraversando l’Inferno in compagnia di Virgilio (la Ragione); poi risveglia la coscienza, purificandosi nella salita al Purgatorio; infine, guidato non più da Virgilio ma da Beatrice (la Grazia Rivelata) e da san Bernardo (la Mistica, che sostituisce Beatrice nella Rosa), giunge alla visione dell’Uno.

Al ritorno vorrebbe raccontare la sua esperienza, perché ognuno di noi sappia che questo è il percorso verso la perfezione.

Ma deve limitarsi a riferire quel che può (tutto ciò che vide è svanito dalla mente del poeta, cfr. Par., XXXIII, 67-75).

Allora, come posso descrivere cosa cerco, se persino Dante non ha potuto ?

Forse parlando per immagini.

Un aiuto può venire dai Tarocchi.image002

Ricordate il tavolino a tre gambe disegnato sull’Arcano del Mago (Bagatto) ?

Quattro sono gli strumenti del Prestigiatore (Coppa-Sapere, Spada-Osare, Danaro-Tacere, Bastone-Volere); tre giacciono sul tavolo e uno -il bastone- viene impugnato attivamente.

Così quattro sono le gambe del tavolo, ma solo tre sono visibili.

Perché il Bagatto (ossia l’io pensante) opera anche oltre il mondo materiale.

Se la perfezione è armonia di Materia e Spirito, allora è in questa vita che possiamo raggiungerla !

Come ?

Per prima cosa dobbiamo essere consapevoli dei vincoli, delle limitazioni.

Solo allora, dopo averli osservati e riconosciuti, potremo cercare di comprenderli per oltrepassarli.

Altrimenti faremo come quel leone cresciuto in cattività che, una volta liberato, continuava a camminare in cerchio come faceva quando era in gabbia, ignaro di essere libero !

Ma come ?

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Allora, torniamo al nostro bastone. In geroglifico il bastone si nomina “medu”.

Lo stesso termine in egiziano era utilizzato nella parola “medu netjer” per indicare i “geroglifici”, letteralmente “parole del Dio (Thot)” –dal latino hieroglyphicus, a sua volta dal greco ἱερογλυφικά [γράμματα] ossia letteralmente “[segni] sacri incisi“-.

E il bastone è l’elemento distintivo dell’anziano, oltre che del potere del Faraone: è la Conoscenza che sostiene e si fa Potere-Volere.

Ossia non c’è Conoscenza se non è Interiorizzata e resa Operativa.

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Una altra immagine, di grande valenza simbolica, è l’Occhio del Dio Falco (Horus, il dio primordiale, signore del cielo, i cui occhi erano il sole e la luna, festeggiati al solstizio d’estate -21 giugno-, quando erano allineati).

L’ UDJAT (letteralmente “colui che è in buona salute”) non è un semplice disegno, basti pensare che nel suo complesso era ritenuto apportatore di salute, rigenerazione, rinascita, e perciò era raffigurato negli amuleti disposti tra le bende delle mummie.

Esistono altre interpretazioni.

A Menfi si diceva: “Gli occhi vedono, le orecchie odono, il naso respira: essi informano il cuore. Infatti è lui che permette ogni conoscenza, ed è la lingua che ripete ciò che il cuore ha pensato”.

L’occhio, dicevamo, è intimamente connesso alla luce.

Ma come sempre accade con i geroglifici, essi raffigurano cose concrete ed esplicitano significati a livelli plurimi.

L’occhio non rinvia solo alla vista, anzi  compendia tutti i sei sensi:

– la forma del naso al lato dell’occhio (1/2) rinvia all’olfatto;

– la pupilla (1/4) rinvia alla vista (e la forma circolare al sole, o alla luna, e alla luce vitale);

– il sopracciglio (1/8) rinvia al sesto senso sconosciuto ai più;

– la forma dell’orecchio al lato dell’occhio (1/16) rinvia all’udito;

– la forma curva terminante in una spirale, che potrebbe rappresentare la lingua o un germoglio di frumento (1/32), rinvia al gusto;

–  il piede che calpesta il suolo (1/64) rinvia al tatto.

Non solo, l’occhio serviva ai giovani allievi scribi per imparare a far di conto. Infatti anticamente la matematica e la geometria si basavano su rapporti, quelli che noi oggi chiamiamo frazioni, non su decimali. Così per riepilogare in una unica immagine un intero manuale di geometria è stato disegnato un occhio.

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Per comprenderne la ragione dobbiamo cambiare mentalità, dimenticare le misure assolute, lo zero e la virgola come li usa la moderna matematica, e tornare ai rapporti, a quando l’avambraccio del Faraone era il regolo di misura di tutte le cose (un cubito era detta la lunghezza dell’avambraccio dal gomito alla punta del dito medio, pari a circa 52 centimetri nel cubito reale egizio utilizzato in architettura o a circa 44,7 cm. in quello d’uso comune).

Ogni parte dell’udjat vale una frazione (1/2 + 1/4 + 1/8 + 1/16 + 1/32 +1/64).

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1/2 1/4 1/8 1/16 1/32 1/64 63/64

 

Sommando i valori attribuiti alla diverse parti, però, si scopre che il totale non è pari all’unità, bensì a 63/64; manca un sessantaquattresimo per completare l’unità e giungere alla perfezione.

Forse perché la perfezione dell’Unità Divina non è raffigurabile nel mondo materiale ?

Forse 1/64 è quel “qualcosa”, la forza vitale, che Iside non riuscì a trovare quando ricompose Osiride ?

Come narra il mito, infatti, Osiride fu smembrato in 14 parti, disperse per tutto l’Egitto; Iside le ritrovò tutte tranne una, il fallo, che era stato mangiato da un pesce.

Il mito di Osiride è noto, per cui lascio ai volenterosi la lettura dell’opera “Iside e Osiride” di Plutarco.

In epoca tolemaica, negli ultimi tre secoli prima di Cristo, nel tentativo di salvare il nucleo della conoscenza egizia, sono stati eretti numerosi templi. Sulle loro pareti si possono leggere varie versioni di un mito, riguardante una divinità femminile, che si allontana in volontario esilio e solo a fatica ritorna, riportando gioia e armonia (a proposito, il termine occhio in egiziano era femminile, come femminile era il cielo…).

Si narra, infatti, che la Dea “Occhio del Sole”, figlia di Ra (il Dio Sole, appunto), si era ribellata a suo padre ed aveva abbandonato l’Egitto in volontario esilio; solo con grandi fatiche era stata convinta a tornare.

Una ingiustizia ha incrinato l’armonia, la Dea si è allontanata; solo il suo ritorno riporta pace e bene.

Secondo una versione analoga, il Dio Set in combattimento aveva strappato al Dio Falco Horus un occhio, che dopo varie peripezie era stato ritrovato, purificato e rimesso a posto, ripristinando così l’ordine cosmico.

Possiamo parlare di cicli naturali, legati all’alternarsi delle stagioni, alle piene del Nilo, alle rivoluzioni solari.

Guarda caso si parla sempre di una Dea che va e viene, portando con sé la vita e l’armonia.

Potremmo continuare all’infinito.

Cosa c’entra tutto questo con la domanda iniziale ?

Se usiamo il senso della vista, il Tempio appare incompleto, perché non ha tetto: manca la volta.

Così rende l’idea della perenne ricerca, alla quale dobbiamo dedicarci incessantemente ?

Se usiamo il sesto senso, peraltro, ci accorgiamo che il Tempio con noi è completo, proprio perché il cielo è il tetto, il pavimento è a scacchi ed ognuno di noi è la pietra apparentemente mancante, quella che deve costituire la volta.

In questa armonia risiede il senso della perfezione, intesa non come risultato ma come processo dinamico.

La conoscenza di sè è il presupposto indispensabile per iniziare un processo di trasformazione, che porta all’umana perfezione (già qui in terra porta infatti alla Giustizia, alla Bontà, alla Bellezza) e alla perfezione divina (quell’Amore che resta ineffabile e inesprimibile alla Ragione).

Non basta dunque sapere.

Non basta volere.

Occorre fare.

La dimensione spirituale, dunque, è l’unica che, con l’intercessione della Dea (Madre, Hathor, Isis, Grazia, Lucia, Beatrice, Vergine Madre coma la chiama Dante nel canto XXXIII del Paradiso, chiamatela come volete), può far giungere alla perfezione se sapremo armonizzare noi stessi.

E la perfezione, una volta raggiunta, non sarà qualcosa di astruso o di lontano, sarà un cambiamento che porterà gioia e armonia in Terra, anche se la mente mortale non può comprendere come ciò potrà compiersi.

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Per questo non posso fermarmi qui, limitandomi a parlare.

Desidero condividere con tutti Voi una esperienza.

Mettiamoci comodi, seduti con le gambe parallele ed i piedi a terra, le mani aperte sulle ginocchia.

Ci sembra di essere il faraone Ramses, seduto sul Trono ?

Guarda caso il trono era rappresentato con una pietra cubica.

Rilassiamoci.

Lasciamo che davanti al nostro naso spunti uno stelo, con le foglie verdi e, in cima, un bocciolo di rosa, ancora chiuso.

Solo in cima appare un punto rosso, che poco a poco si espande, mentre i sepali si aprono e lasciano scorgere i petali rossi, fino alla piena fioritura della rosa.

Annusiamo il profumo dolce e intenso del fiore.

Visualizziamo la pianta intera.

Sentiamo la linfa che sale, dalle radici al fiore.

Noi siamo la rosa.

Sentiamo in noi quella stessa vita, che ha fatto fiorire la rosa e che ci farà fiorire.

Perché ciò che è Giusto, ciò che è Buono e ciò che è Bello siano una stessa cosa.

Ho detto.

 R. Aemilia Romania – Fr. Stefano B.