Scavare oscure e profonde prigioni al vizio: La Collera! – Riflessioni

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Ciò che deve contraddistinguere i nostri rapporti deve essere la benevolenza e mai la collera che, a volte, ci prende e ci porta fuori strada.

La collera è una passione velocissima; è detta, infatti, bollore e movimento dell’animo contro chi ci ha arrecato un torto, o si presume che l’abbia fatto; essa, nel corso di tutto il giorno amareggia l’anima, ma è soprattutto durante le nostre riflessioni, che essa soggioga la mente, rappresentandole il volto di chi ci ha rattristato.

Quando essa è persistente si trasforma in risentimento e ci assale  come un vento impetuoso, emergendo come un bollore improvviso dal nostro intimo e divampando come un fuoco che ci divora, avendo come bersaglio, gli altri.

Essa è, inoltre, per eccellenza, il vizio visibile, tanto da sfigurare chi ne è preda, producendo anche effetti psicosomatici: fa perdere il fiato e genera una sensazione di soffocamento.

E’ significativo che la collera sia una reazione che condividiamo con gli animali, i quali la manifestano, soprattutto, quando si sentono aggrediti; ebbene, se non riusciamo a dominare tale moto istintivo, giusto o sbagliato che sia, esso rischia di trasformarsi in un sentimento permanente e nella memoria di un offesa mai perdonata, con conseguenze nefaste per ogni nostra relazione.

Va rilevato, peraltro,  che esiste anche un’ira, una collera ” positiva”, necessaria alla vita umana ed allo sviluppo della personalità; è una sorta di zelo, di impeto positivo che è addirittura necessario manifestare di fronte al male, all’ingiustizia, alla sofferenza delle vittime: è la collera per amore, cioè causata dall’amore, che deve essere suscitata dalla giustizia, avere una retta intenzione e manifestarsi attraverso una reazione proporzionata, non dovendo, quindi, essere ingiusta, vendicativa e smisurata.

La pulsione della collera è certamente un male quando diviene una presenza costante nei nostri rapporti con gli altri; quando è il segno del disprezzo e dell’odio nutriti verso l’altro in quanto tale; quando contiene l’intenzione dell’annientamento e della distruzione dell’altro. In tal caso, la collera è la negazione della relazione e della responsabilità; è la contraddizione, per eccellenza, alla comunicazione e al dialogo, nonchè il terreno su cui nasce l’aggressività e si sviluppa la violenza contro l’altro.

Per quanto riguarda la lotta contro questa passione, va rilevato che cedere costantemente alla collera è il segno di una vita scarsamente umana, non sufficientemente ritmata dal riposo e dal silenzio.

Oggi, nel ritmo affannoso della vita contemporanea, essa è diventata una delle cause dominanti sulle singole persone.

Quindi uno strumento elementare di lotta contro la collera è costituito dalla capacità di vivere il silenzio e la solitudine in modo profondo e intelligente, consentendo loro di divenire spazio per placare i nostri fantasmi interiori; la solitudine ed il silenzio sono assolutamente necessari per lottare contro le compulsioni del falso “io”, che, sempre, minacciato dalla possibilità dell’insuccesso e della non affermazione sugli altri, si apre alla collera.

Solo chi vive nel silenzio a lungo sarà anche capace di spegnere la collera che è in lui ; la presa di distanza da ciò che si fa, dall’ambiente in cui si vive sono un’occasione per ritrovare se stessi e per far tacere la collera che tende a diventare una presenza nascosta e costante.

Più in profondità, però, per sconfiggerla, occorre la capacità di porsi una semplice, ma decisiva domanda: chi è l’altro per me?. E’ una persona con cui entrare in relazione, oppure è qualcos’altro?

Concretamente, allora, si tratta di giungere ad assumere comportamenti improntati a dolcezza e mitezza; amare, esercitarsi alla mitezza, per noi comporta almeno la necessità di porre un limite all’ira che ci assale, in modo da evitare di giungere a parole o ad atti che possano ferire chi ci è accanto, cercando di impedire che la collera penetri fino al cuore.

Dobbiamo avere quella capacità di pazienza di sentire in grande, il che significa, convivere con l’imperfezione e l’inadeguatezza presenti nell’uomo e nella realtà; pazienza che significa anche sopportare, cioè, supportare e sostenere gli altri nelle loro debolezze che prima o poi sono anche le nostre .

Il Serenissimo Presidente del R.S.I.

Fr. Maestro Architetto Giovanni Cecconi