OTTORINO MAGGIORE – Hiram, febbraio 1984

OTTORINO MAGGIORE

L’impegno massonico e sociale di un illustre fratello

Il 13 agosto 1953 un male incurabile stroncava la forte fibra di Ottorino Maggiore.

Ottorino Maggiore
Ottorino Maggiore

Racalmuto gli diede i natali il 20 maggio 1887 e, fin da bambino, Ottorino Maggiore respirò in famiglia quell’alto rigore morale, quella sicura scelta di vita tramandatagli dal nonno, il Notaio Maggiore che soggiornò ad Ustica, ristrettovi dai Borboni, perché sospetto di Massoneria, e dal padre che accorse prima di Calatafimi sotto le bandiere di Garibaldi e che, da garibaldino diventato ufficiale italiano, non esitò a disertare per trovarsi a Mentana con Garibaldi.

Si può dire che, con simili esempi, il cammino di Ottorino Maggiore fosse prefigurato: giovanissimo fu iniziato e raggiunse presto il grado di Maestro. Come ebbe a dire di Lui il Fr. Roberto Ascarelli, che ebbe con Lui consuetudine di vita e di affetti, durante la commemorazione della sua morte, “la Sua modestia, che era grande e non era finzione, era una conseguenza della coscienza della Sua dignità. Perché in Lui la coscienza di essere un uomo e la consapevolezza dell’iniziato erano assolutamente inscindibili, come la consapevolezza che la cerimonia dell’iniziazione è il principio di una maturazione che risulterà dall’approfondimento di ogni esperienza che deve divenire cognizione”.

E pertanto, soggiungeva Ascarelli, “Egli sapeva che la vita pratica deve rispondere ed essere permeata da dettami superiori che risultano dalla distinzione fra il bene ed il male, contrapposizione che non esiste in linea assoluta, ma in via relativa al beneficio e al patimento degli altri uomini. Per Lui la promessa della suprema iniziazione, di soccorrere a costo della vita gli uomini, era stata sempre normalità di vita. Lo fu a ventun’anni quando, fra i primi, nel 1908 corse a soccorrere i terremotati di Messina, e così contrasse una grave infezione di tifo contagiando la madre che ne morì; lo fu in trincea, sull’Hermada e sul Montello allorché un Suo conterraneo caporale potette a stento salvarLo in tempo dall’intossicazione letale di gas; lo fu allorché si espose con pochi altri Fratelli a viso aperto nel riconsegnare i locali massonici di Palermo vuoti e privi di suppellettili alla Pubblica Sicurezza, con un regolare verbale; lo fu quando partecipò al Comitato di Gran Maestranza nel periodo delle persecuzioni, insieme a Lenzi, Solimene, Meoni, Bartalini, Varcasia e pochi altri. Lo fu quando, apertamente, pur essendo Lui sorvegliato e privato di passaporto, si dette ad assistere e ad assicurare in qualche modo la corrispondenza per i deportati alle isole. Lo seppero Torrigiani, Romita, Angeloni, Bacchetti, Fausto Nitti e quanti passarono per l’Ucciardone di Palermo: lo seppero perfino gli sbirri che gli erano posti alle calcagna per la sonveglianza ed a cui riusciva a far perdere le tracce, saltando dall’una all’altra vettura tranviaria ed a cui dava, per non fargli perdere il pane, dei controllabili itinerari. Lo seppero i partigiani veneti, cui assicurò le armi che, dopo l’8 settembre, riuscì a sottrarre alla requisizione fascista; e lo seppero i partigiani della Val Brembana con cui operò fino al 25 aprile del 1945, da quando era riuscito a sfuggire alla cattura perché “elemento pericoloso, ufficiale superiore badogliano, comunista”, così come Lo avevano qualificato le liste di proscrizione nazi-fasciste, che Lo avevano fra i primissimi indiziati”. Ma simile campione di idealismo non perse mai il contatto con la realtà quotidiana nella quale operò sempre con concretezza ed alta ed apprezzata professionalità. Laureatosi nel 1908 a pieni voti e lode in giurisprudenza all’Università di Palermo, fu tra i migliori Avvocati di quella città ed a Lui la parte più eletta e cosciente della città ricorse per consigli e difese. Sposatosi, nel 1919, dopo la parentesi bellica, tornò all’attività professionale e partecipò alla vita politico-amministrativa di Palermo. Assessore al patrimonio del Comune nella amministrazione presieduta dal Sindaco Lanza di Scalea, l’ultima democraticamente eletta.

L’impareggiabile sposa Maria, appartenente ad ottima famiglia veneta, Gli fu al fianco dolce e fiera ad un tempo e con Lui allevò ai più alti valori etici dell’esistenza i tre figli che Lo ricordano anche fisicamente. Può ben dirsi che Ottorino Maggiore fu tra i pochi che vissero il loro tempo con la consapevolezza del momento storico attraversato e con la volontà di incidere in esso col peso della propria carica ideale. Nel 1915 l’ultima guerra dell’indipendenza, che fu insieme la prima Grande Guerra della nuova epoca, Lo vide convinto interventista non solo come figlio e nipote di uomini così legati alla nostra tradizione risorgimentale, ma come Massone tra i più avveduti che sentì ancora il conflitto sotto la specie dell’unità nazionale. Come Maestro Venerabile della R. Loggia “Logos” di Palermo Egli appose la Sua firma al manifesto interventista della Massoneria di Palermo e, subito dopo, come volontario, fece seguire l’azione al pensiero e fu in fanteria nelle prime linee combattendo da valoroso, incurante della propria vita. Significativo è il testo della lettera che Egli inviò ai Fratelli della R.L. “Cosmos” e che costoro lessero commossi nella Tornata del 31.5.1915: “Al momento di lasciare l’Oriente per adempiere, volontario, al dovere verso la Patria, vi giunga con tutti i Ffrr. di codesta R.L. il mio affettuoso saluto di congedo e l’assicurazione del mio perenne ricordo. Son sicuro che i Ffrr. che resteranno nell’Oriente faranno il loro dovere e questa fiducia rende più forti quelli che debbono allontanarsi. Sempre uniti ed all’opera per la nostra Grande Istituzione. Vi stringo fraternamente tutti al mio cuore”.

Ottorino Maggiore, da quel grande iniziato che era, non temeva la morte fisica poiché ormai aveva conosciuto la Luce e nella nuova dimensione si muoveva, consapevole del dovere di ogni Massone, degno di questo nome, di porsi ad esempio per i contemporanei ed i posteri.

“Ottorino Maggiore – prosegue Ascarelli – non si adattò mai al conformismo né si sottopose a mortificanti adesioni formali al fascismo che era non ideale politico, ma un sistema più rozzo di conformismo per privilegiati”.

“Cosciente di sé e del proprio buon diritto, e conscio che il Massone deve essere anche buon cittadino, materiò la Sua opposizione nella fortezza delle proprie non nascoste convinzioni e nella Sua opera. Non aderì, e lo sanno i suoi familiari che non godettero della fortuna che la sua fama di avvocato Gli avrebbe potuto dare, al fascismo trionfante. Col suo sangue, nella guerra di indipendenza che aveva voluto combattere, si era conquistato dei gradi militari che lo fecero partecipe, in età matura, anche della nuova guerra che Gli era estranea: ma attese l’8 settembre e la liberazione dal giuramento formale per assumere una posizione responsabile ed autonoma, dalla parte più pericolosa, che sembrava la meno fortunata – non dimentichiamo che si trovava nell’Italia occupata dalla cosiddetta Repubblica sociale – e non quella più facile e pur comoda dello stagionato colonnello senza comando che la sorte Gli aveva preparato. Avrebbe potuto stare alla finestra. E invece salì sui monti, malgrado l’età e i reumatismi, relitto della guerra di trincea, malgrado le taglie, i pericoli e le razzie”.

Era fatale che simile tempra di Uomo e di Massone si misurasse anche con gli eventi tristi e tumultuosi che afflissero la Massoneria Italiana sotto il Fascismo e qui pure la figura di Ottorino Maggiore si staglia a tutto tondo come esempio di coraggio, di tenacia, di dignità e di correttezza.

Nei momenti delle persecuzioni, dapprima velate e poi sempre più scoperte e, infine, assassine, Ottorino Maggiore fu ovviamente in prima linea, confortando col Suo freddo razionalismo e con la sua preparazione giuridica, il Gran Maestro Domizio Torrigiani.

Come ricorda A. A. Mola nel pregevole e documentato saggio sul “Grande Oriente d’Italia dell’esilio” (Ed. Erasmo 1983), il 20 novembre 1925 il Senato del Regno d’Italia approvò la legge che vietava ai pubblici impiegati l’iscrizione ad associazioni segrete: pur non menzionando tra queste esplicitamente la Massoneria, la legge mirava, come, del resto, aveva dichiarato Mussolini nel presentarla alle Camere, ad estirpare la nostra Istituzione dalla vita della Nazione. Seguirono febbrili consultazioni del Gran Maestro con i suoi più preparati collaboratori e consiglieri, tra i quali Ottorino Maggiore, e fu deciso, con un tempismo eccezionale, di decretare il 22 novembre, appena due giorni dopo l’approvazione della legge, ma prima della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 26 successivo, la sospensione dei Lavori di tutte le Logge del regno e delle colonie: “misura cautelativa, atta a porre le Officine al riparo dalla prevedibile rappresaglia di uno squadrismo che imperversava coperto dalla polizia del regime, orchestrata da un Ministro degli Interni sempre pronto ad avallare le violenze antimassoniche con ordinanze, circolari e disposizioni particolari costruite sulle situazioni di fatto”.

Tale decisione molto accorta evitò al momento anche la dissoluzione del Governo della Massoneria, rimasto al suo posto per “continuare la vita dell’Ordine”. E infatti, nel maggio-giugno 1926 esso rientrò nel pieno possesso di sedi, arredi e archivi, temporancamente sottoposti a sequestro inquisitorio e riprese la pubblicazione della “Rivista Massonica” sia pure tra sequestri e vessazioni. Come acutamente osserva il Mola, “la condotta del Grande Oriente si ispirò a due criteri, distinti e tuttavia convergenti. La persecuzione antimassonica rendeva pericolosa la convocazione di una Gran Loggia, che avrebbe esposto troppi Fratelli alle aggressioni delle squadracce. Al tempo stesso, proprio perché impedito di radunare il popolo massonico, il Gran Maestro non poteva né restituire i poteri che ripeteva dalla Gran Loggia, né sciogliere alcuno dai vincoli contratti con l’Iniziazione, nei confronti non della sua persona, bensì dell’Ordine. Dal punto di vista giuridico la situazione non mutò quando Torrigiani, nel settembre 1926, incaricò un Comitato Ordinatore di curare gli interessi materiali delle Officine e delle sedi centrali della Comunione, in via di liquidazione”.

Naturalmente del suddetto Comitato Ordinatore fu chiamato a far parte Ottorino Maggiore che, insieme al Presidente Giuseppe Meoni, Gran Maestro Aggiunto designato dal Rito Simbolico Italiano, ed agli altri illustri componenti, Ugo Lenzi (Bologna), Ermanno Solimene (Napoli), Giotto Bartalini (Genova), Giuseppe Guastalla e Cerasola (Milano), svolse opera preziosa e capillare per salvare quanto ancora era possibile e per proteggere tanti Fratelli dalle persecuzioni fasciste sempre più feroci. E, morto infine Torrigiani dopo il confino a Lipari, questi Uomini, ai quali debbono andare il ricordo e l’ammirazione riconoscenti della Massoneria Italiana, rimasero in continuo contatto incuranti delle squadracce e degli sbirri e consentirono la formazione di quel nucleo di Fratelli che, dapprima clandestinamente, e poi finalmente alla luce del sole, dopo la Liberazione dalla tirannia nazi-fascista, ridiedero vita alla Massoneria dell’Italia democratica.
Oggi, malgrado l’affermazione in Italia di un costume democratico introdotto e garantito da una Carta Costituzionale i cui princìpi più qualificanti furono voluti e difesi da tanti nostri illustri Fratelli costituenti, assistiamo ad un’aggressione indiscriminata verso la Massoneria perfino da parte di quegli uomini e gruppi di opinione che ispirano la loro azione ai princìpi da noi sempre propugnati ovunque e in ogni tempo. La ventata massonofoba è tuttora imperversante e, come la notte dell’ignoranza partorisce i mostri, così essa, sostenuta dalla paura e dall’ignavia, genera liberticide quanto ridicole norme legislative che ricordano tanto le famigerate leggi speciali fasciste e determinano giustificabile quanto non condividibile allarme e timore in parecchi Fratelli, specie se investiti di pubblici impieghi o incarichi.

Ma la risposta finora data dalla Massoneria Italiana è stata quella della chiarezza e della fermezza: le uniche doverose e paganti, sia pure nel lungo periodo. A tanto essa si è potuta indurre anche perché ricca di un patrimonio ideale lasciatole da Uomini dello stampo di Ottorino Maggiore che non esiterebbero un istante a scendere in campo a viso aperto per combattere l’ignoranza, la calunnia, la pavidità, l’aggressione indiscriminata.

E per questo che nel ricordare Ottorino Maggiore a trent’anni dallo scomparsa fisica, si intende far meglio conoscere al mondo massonico e profano uno dei suoi più prestigiosi rappresentanti che, insieme a tanti altri carissimi e memorabili Fratelli, va annoverato tra i veri e indiscutibili campioni di un costume di vita mutuato e temprato dalle nostre idealità. Essi, a conforto di tutti noi, rappresentano quello che il Fratello Grousset, nel titolo di una sua opera poco conosciuta in Italia, ha chiamato “Figure di Prua” per disegnare delle incisive biografie di uomini eminenti.
E ci sembra doveroso lasciare la parola, un’ultima volta, a Roberto Ascarelli quando concludeva la Sua orazione: “Mi piace di vedere che il nostro vascello, che si avanza sul mare dei casi umani fra lo sbattere delle vele e lo scricchiolio dei vecchi legni, porti a sostegno del bompresso, come meravigliosa polena, la figura di Ottorino Maggiore”.

Virgilio Gaito