CARBONERIA E MASSONERIA

Per parlare di Carboneria in Italia dobbiamo partire necessariamente da una data, il 1815, e da un evento, il Congresso di Vienna. Finito il sogno – certo con tutte le delusioni che procurò basti pensare a Foscolo e alle “Ultime lettere di Jacopo Ortis” – tornano i re. Dopo la sconfitta di Napoleone le potenze ridisegnano l’Europa.

L’Italia con Napoleone, pur con tutte le delusioni che procurò a quanti speravano in una reale unità del paese – era tuttavia riuscita ad intravedere una parvenza d’unità. Semplificando: al nord il Regno d’Italia governato dal figlio adottivo di Bonaparte, Eugenio Beauharnais, al sud il Regno di Napoli sotto Giocchino Murat, le terre dello stato vaticano occupate dalle truppe napoleoniche entrano a far parte dell’impero francese, come disse Napoleone, “per togliere il contrasto tra Cristo morto in croce e il suo vicario che vuole essere sovrano”.

Al contrario, il disegno degli architetti della Restaurazione per l’Italia, l’arcinota “espressione geografica” di Metternich, è particolarmente duro. L’Italia si ritrova frammentata in dieci stati e staterelli, il Regno di Sardegna, il Lombardo-Veneto sotto gli austriaci – che di fatto esercitano un’egemonia politica sul resto del paese, Parma, Modena, Massa e Lucca, lo stato della Chiesa, il Regno delle Due Sicilie, le piccole enclaves della Repubblica di San Marino e del Principato di Monaco, rispettivamente nei regni della Chiesa e di Sardegna. L’Italia insomma è di nuovo a pezzi. Ma nemmeno il pugno di ferro della reazione riesce a spegnere il desiderio di indipendenza, di libertà ed unità dei patrioti italiani. Il paese è attraversato da mille fremiti, da intrighi, da società segrete.

Il dominio napoleonico, da un lato aveva diffuso in Europa le idee liberali della Rivoluzione francese, favorito la formazioni di stati con un’efficiente burocrazia centralizzata, fallendo però l’obiettivo di una grande Europa sovranazionale e ottenendo anzi l’effetto contrario d’incoraggiare le rivendicazioni nazionaliste.

La stessa Massoneria, così come in Francia, in Italia fu pienamente controllata dall’impero francese. Basti pensare che è lo stesso Eugenio di Beauharnais ad essere il primo Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, fondato a Milano il 20 giugno 1805 e primo Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio d’Italia del Rito Scozzese Antico e Accettato. Già nel 1803 a Napoli Gioacchino Murat era nominato Primo Gran Sorvegliante del Grande Oriente di Francia, Gran Maestro e SGC del Grande Oriente e del Supremo Gran Consiglio del RSAA di Napoli.
Insomma una Massoneria fortemente vassallizzata che, sia in Francia che in Italia, era considerata un vettore dei valori bonapartisti. Logico perciò che la sua opposizione politica scegliesse un vettore analogo ma differente per veicolare i valori repubblicani.

Questo controllo del trono imperiale sulla Libero-muratoria spiega dunque in parte la nascita della Carboneria. Prima ancora che il giovane generale corso diventasse qualcuno, già nel 1796 Filippo Buonarrotti, anch’egli Massone, assieme a Babeuf, è convinto che vi fossero nuclei di società segrete sufficienti per pensare ad un vasto movimento insurrezionale, di matrice giacobina, che si sviluppasse contemporaneamente in Francia e Italia. Il progetto di un'”internazionale rivoluzionaria” continuerà in seguito nel tentativo di ristabilire gli ideali della rivoluzione francese, utilizzando peraltro occultamente la logistica dell’Impero e delle sue truppe delle Armate, col fine di ristabilire gli ideali della rivoluzione francese apparentemente traditi dal Consolato e poi dall’Impero. La restaurazione del 1815 e la Santa Allenza diedero infine la spinta a una maggiore internazionalizzazione e diffusione del movimento.

Filippo Buonarroti

Quali sia il giorno, l’ora e il luogo in cui nacque la carboneria non lo sapremo mai. Come per la Massoneria – non mi riferisco alla Massoneria moderna che come tutti sappiamo è nata nel 1717 – le origini della Carboneria, per usare l’espressione di Benedetto Croce sono “afilologiche”. Anche a non voler prestare fede alla cifra colossale di 642.000 affiliati alla Carboneria nel 1819, le società segrete in Italia nelle prime tre decadi dell’Ottocento erano certo molte e non avevano tutte lo stesso scopo, anche se i patrioti in genere aspiravano all’unità del paese. Oltre alla Carboneria possiamo citare, tra le tante, gli adelfi, i filadelfi, i maestri sublimi perfetti. C’era tra tutti questi gruppi, quasi certamente poco organizzati tra loro, un nume tutelare. E’ il Filippo Buonarrotti che s’è nominato. Aveva partecipato al velleitario tentativo della Congiura degli Eguali stroncato nel sangue nel 1797, ghigliottinato Babeuf, graziato Buonarrotti, questi si rifugerà a Ginevra, nella svizzera terra della libertà. Nel 1806 è nella Loggia Massonica des Amis Sincères di Ginevra nel 1806, ne è Venerabile nel 1811 quando le autorità ne ordinano la chiusura per le attività politiche che vi si svolgevano. Al Buonarotti, teorico e “grande vecchio” in esilio si affinca Pierre-Joseph Briot, operatore sul campo. Massone nelle Loggia di Besancon, ma anche Buon Cugino Carbonaro del Rito di Alexandre-La Confiance, fondatore di logge massoniche a Portoferraio nel 1802, di vendite carbonare in Abruzzo nel 1806 e in Calabria nel 1807, nel napoletano tra il 1809 e il 1813 (nel frattempo era diventato anche membro della Massoneria egiziana di Mistraim, diventandone in breve Gran Maestro ad vitam 90�. Ancora nel 1827, secondo i rapporti di polizia, come agente di una compagnia di assicurazione, attraverso i suoi ispettori fa fondare nei diversi dipartimenti cui erano assegnati vendite carbonare.

Credo che questi rapidi cenni bastino a sfatare le affermazioni d’un certo Achille Ragazzoni (vedi Società segrete: mito e realtà, in Secolo d’Italia, 5 giugno 1999, p. 20), ricordate dal prof Giuseppe Schiavone in un suo articolo su Hiram. Si affermava nell’articolo che la Massoneria non ha avuto alcun ruolo, se non del tutto marginale, nella maturazione del processo risorgimentale; semmai lo ha avuto “la Carboneria, che poco o nulla aveva a che fare con la Massoneria”. Sciocchezze… ma nemmeno si può aderire alla concezione prevalente della storiografia “seria” che descrive la Carboneria come il braccio politico e di massa della Libero-Muratoria. E’ noto che per i landmarks Essa dev’essere leale verso le istituzioni del paese in cui opera e non occuparsi di poltica e di religione. Occorre pertanto fare e, a questo punto sorge da sé,

affermare che la Carboneria è stata una società segreta politica, rivestita di forme iniziatiche. La demarcazione tra società segreta politica e società segreta iniziatica, dal punto di vista esteriore, non sempre è facile. In qualsiasi società segreta, di qualsiasi tipo essa sia, vi è sempre la formula del giuramento sulla segretezza, c’è sempre un rituale di ammissione del neofita e l’uso di riti, simboli ed emblemi che assomigliano molto a quelli delle vere e proprie organizzazioni iniziatiche. La demarcazione invece è netta dal punto di vista degli scopi perseguiti: nel caso delle società segrete politiche potremmo definirli temporali, nel caso delle società iniziatiche – e siamo d’accordo con Mircea Eliade nel dire che la Massoneria è l’unica società iniziatica tuttora esistente in Occidente – extratemporali. Questo spiega anche la durata limitata nel tempo della Carboneria.

Naturalmente è accertato che alcune organizzazioni iniziatiche con statuti teoricamente extrapolitici si sono occupate anche di progetti di riforma sociale, legati talvolta strettamente ai loro fini filosofici. Per fare un esempio sufficientemente noto, non si può negare che la Massoneria abbia svolto un ruolo politico importante senza tuttavia esagerarne la portata: c’è chi è giunto in passato – e vi sono gruppi ancora oggi attivi in questo senso – ad agitare lo spauracchio di un profondo “complotto massonico” diretto dagli Ebrei, o dall’imperialismo britannico, o dal bolscevismo, o dall’alta finanza, o addirittura da Satana in persona – ancora oggi si sostiene che il fenomeno culturale (e anche commerciale) new age sia guidato occultamente dalla Massoneria, dall’alta finanza e da Satana – al fine di distruggere tutte le religioni e in particolare quella cattolica e così creare un’unica religione universale e, insieme, con lo scopo di impossessarsi del potere per mezzo di un governo mondiale, attraverso gli attuali processi di globalizzazione economica. Per costoro questo disegno ha avuto il suo manifesto inizio a partire dalla Rivoluzione Francese (il ché è storicamente falso perché se i Massoni ebbero parte attiva nella rivoluzione “bonaria” degli anni 1789-91, in seguito furono sopraffatti dai Giacobini, che ne chiusero le Logge e ghigliottinarono un gran numero di Fratelli a cominciare dal Gran Maestro). Tuttavia non bisogna negare che la Massoneria abbia influenzato l’evoluzione politica di alcuni paesi: basti pensare in Francia alle leggi sulla separazione della Chiesa dallo Stato o in Italia al ruolo di collante sociale che ha avuto dall’Unità d’Italia nel 1870 fino all’avvento del fascismo. La verità, anche dal punto di vista storico, come dice una massima tradizionale, sta nel giusto mezzo.

Né va taciuto all’interno della Massoneria l’inserimento clandestino, in certi casi, riuscito: è forse stato il caso – anche se in merito vi è contrasto tra gli storici – degli Illuminati di Baviera; o un altro caso che ci è più recente e vicino come la Loggia P 2.

Ma per tornare alla Carboneria si vuol semplicemente e ancor più chiaramente dire che vi fu rapporto con la Massoneria. Questo spiega la doppia affiliazione di molti personaggi della Storia del Risorgimento (pensiamo a Garibaldi). Quello che si sta cercando di dire è che essa non fu il braccio armato della Massoneria, non fu emanazione di essa. Fu semplicemente creazione o innesto radicalmente politicizzato di taluni Massoni, né si può parlare di un’organizzazione scismatica, mai vi fu condanna di essa da parte della Massoneria ufficiale o delle Massonerie ufficiali, che peraltro in quegli anni erano tutte all’obbedienza di potenze straniere, Francia o Inghilterra. Le due organizzazioni se mai corsero parallele. Non entreremo nell’annoso dibattitto se la Carboneria nacque in Francia o in Germania, se le sue origini come vuole qualcuno siano nostrane, nata in Calabria, o se le sue origini si perdano nel medioevo con san Teobaldo. L’opinione prevalente, com’è noto, e che nacque in Francia e che giunse in Italia, soprattutto nel meridione, con le truppe francesi.

Ma chi abbia avuto la ventura di leggere i rituali dei lavori in grado I di ‘apprendente carbonaro’, comprensivo del rituale di iniziazione, se è un Massone, si accorgerà come essi ricalchino fedelmente il puro rituale massonico.

In genere, si diceva, si fa risalire la Carboneria a un compagnonaggio del Giura francese, un’associazione che riuniva taglialegna, carbonari e altri lavoratori della foresta, ma che accettava, nel suo ambito, uomini di tutte le classi sociali. Questa “massoneria forestale”, del “bois“, (per il duplice significato del termine francese che significa sia bosco che legno va dunque preferito il secondo) per meglio distinguerla dalla Massoneria dove centrale è la pietra da dirozzare, mentre nella Carboneria la centralità simbolica sta nel legno – aveva riti d’iniziazione e di passaggi di grado, segnali e parole di riconoscimento e i suoi luoghi di riunione erano preferibilmente all’aperto, coltivava l’assistenza reciproca e il divertimento. In che modo sia passati da un’innocua corporazione ai carbonari italiani e francesi che nel periodo della restaurazione, dal 1815 al 1834 circa, hanno messo sottosopra le polizie di diversi Stati dell’epoca resta un mistero. Un ruolo lo hanno sicuramente avuto ufficiali e politici della cerchia napoleonica.

Sappiamo dunque che i carbonari italiani adottano un’organizzazione ispirata sia alle consuetudini dei vecchi carbonari del Giura, sia alla Massoneria. Gli affiliati , detti “buoni cugini”, erano divisi in apprendenti  e maestri e lavoravano alla Gloria del Gran Maestro dell’Universo Una loggia o vendita doveva tenersi in un luogo rivestito di legno e pavimentato. A una delle estremità c’era un ceppo squadrato sul quale sedeva il maestro. Nella vendita erano sistemati alcuni oggetti: un drappo di tela, dell’acqua, del sale, un crocifisso, delle foglie d’albero, dei bastoni, del fuoco, della terra, una corona di biancospino, un gomitolo di filo, e tre nastri con i colori della carboneria, uno blu, uno rosso, uno nero oppure una coccarda coi medesimi colori. Sulla parete dietro il maestro una serie di triangoli irraggianti. Le riunioni si tenevano di notte in luoghi solitari. Al grado di apprendente il candidato all’iniziazione veniva bendato e giurava sull’ascia di mantenere i segreti sulla società e di aiutare i suoi “buoni cugini” nei momenti di indigenza. Al grado di maestro l’officiante riceveva il nome di Pilato e i suoi assistenti quelli di Caifa ed Erode. Gli occhi del candidato che rappresentava Gesù nel corso della cerimonia venivano nuovamente bendati. Sembra che vi fossero altri gradi superiori, due o tre. Si raccontò che dopo la restaurazione il cerimoniale di uno di questi gradi superiori fosse particolarmente sviluppato: il candidato veniva sospeso a una croce e alcuni affiliati vestiti da soldati austriaci sparavano a salve con i loro fucili.

Ma dopo questa digressione che credo sia più d’interesse dei Massoni che del pubblico profano – i carbonari avrebbero detto pagano – facciamo un rapido excursus storico partendo dal Regno delle Due Sicilie. Qui davvero i Carbonari erano tanti, un po’ perché, diversamente dalla Savoia dove Vittorio Emanuele I aveva persino fatto gettare via le sedie e i calamai dell’epoca napoleonica, Ferdinando II aveva preferito non smantellare l’efficiente amministrazione e l’esercito murattiani. Mentre a Milano i carbonari – ma non lo si sa ancora che tali sono – Federico Confalonieri e Luigi Porro-Lambertenghi fondano il Conciliatore, che parlando di scienze e di letteratura, tra le righe invita gli italiani alla lotta per l’Unità e verrà chiuso dagli austriaci nel 1819, nel regno delle due Sicilie scoppia un’altra rivoluzione nel luglio del ’20, praticamente la sollevazione nasce con 127 uomini tra ufficiali e soldati. � una valanga, il piccolo esercito s’ingrossa, si uniscono ai ribelli civili carbonari, le truppe disertano platealmente e e vanno ad ingrossare le fila della rivolta e nella notte tra il 5 e il 6 agosto una delegazione di cinque carbonari si presenta a plazzo e il re deve arrendersi e concedere una costituzione simile a quella varata in Spagna. Va però tenuto presente che al Sud, dove la Carboneria era così forte, in seno ad essa c’era di tutto: liberali, democratici, murattiani, papisti. E questa divisione interna favorì la rapida reazione degli austriaci che soffocarono in breve la rivoluzione con la stessa facilità con cui era nata. Ciò che mancava ai Carbonari del meridione non era solo la coesione tra loro, ma gli era anche estranea l’idea di unità nazionale, e persino la prospettiva del collegamento con i movimenti costituzionali degli altri stati. La successiva ingenuità dei carbonari si mostra l’anno dopo nel 1821 a Torino quando il carbonaro Santorre di Santarosa e i suoi amici cercano l’appoggio del principe Carlo Alberto che si comporta ambiguamente e li illude di essere dalla loro parte. Quando pero la rivolta comincia nel nel marzo del 1821 Carlo Alberto lascia i congiurati da soli. Ancora una volta sono gli austriaci, il gendarme della reazione a rimettere a posto lo status quo. La déb�cle carbonara è ancora maggiore a Milano con l’arresto di Pellico, Maroncelli, Confalonieri e Porro-Lambertenghi, che sono scoperti e arrestati prima ancora di arrivare all’azione.

Federico Confalonieri (Museo del Risorgimento, Torino)

� proprio in una domenica di aprile di quel 1821 (finalmente possiamo mettere una data certa) che un sedicenne di nome Giuseppe Mazzini a passeggio con la madre vide i carbonari, che raccoglievan soldi per i “proscritti d’Italia”, che s’imbarcavano per l’esilio. Quel giorno racconta Mazzini nelle sue note autobiografiche “fu il primo in cui s’affacciasse confisamente all’anima mia, non dirò un pensiero di Patria e di Libertà, ma un pensiero che si poteva e quindi si doveva lottare per la liberta della patria”.

Giuseppe Mazzini sedicenne con la madre e un amico di famiglia mentre un uomo chiede un’offerta per i proscritti d’Italia.

Qualche anno dopo Mazzini, come del resto accadrà allo stesso Giuseppe Garibaldi – sarà affiliato alla Carboneria. Della cerimonia, una classica iniziazione “a fil di spada”, non un’iniziazione rituale, sappiamo tutto perché ce l’ha raccontata lui stesso.

L’iniziazione avvenne presso San Giorgio, a un ultimo piano. L’iniziatore fu Raimondo Dona, mezzo spagnolo, mezzo corso, anziano, brutto. Fece mettere Mazzini in ginocchio, snudò un pugnale, recitò la formula di un giuramento, lo mise a parte dei segni dei toccamenti e delle parole sacre e lo congedò. Mazzini uscì da quell’esperienza assai dubbioso perche la cosa gli era parsa abbastanza ridicola. Nessuno gli aveva spiegato quale scopo si proponesse la Carboneria. I dubbi, nelle settimane successive, si raftorzarono. I carbonari avevano l’aria di perditempo, di chiacchieroni, qualche volta persino di piccoli truffatori. Tuttavia vi rimase iscritto.

Lo passarono al secondo grado della setta e lo mandarono a Livorno a fondare una vendita e a far proseliti. Al ritorno gli chiesero di conferire il secondo grado della setta a un ufficiale, certo maggiore Cottin. Si trattava di una trappola, perché questo Cottin era in realtà un carabiniere regio travestito da carbonaro. Mazzini, al vederlo, ebbe un presenti-mento (“era un uomo piccolo dì statura con un guardo errante che non mi piacque… “), tuttavia lo fece inginocchiare, cavò la spada dal fodero e celebrò tutta la cerimonia. Pochi giorni dopo venne arrestato e rinchiuso nel carcere di Savona. Aveva 25 anni. Aveva trovato un ingegnoso modo di comunicare all’esterno, attraverso le lettera alla madre con un codice cifrato. Qui ci sarà la terza iniziazione a fil di spada, questa volta nella Massoneria. Infatti incontrando nel corridoio del carcere uno che gli era superiore nella setta carbonara, Mazzini lo mise a parte, svelto svelto e sottovoce, di avere un sistema per comunicare con l’esterno e quello, invece di affidargli un qualche messaggio. rispose conferendogli immediatamente tutti i poteri e il massimo grado massonico.
Questa “scena ridicola” – raccontò poi Mazzini -, insieme alle riflessioni sul “terrore fanciullesco dei carbonari” , “raffermavano me nel concetto formato già da mesi: che la Carboneria era fatta cadavere e che, invece di spendere fatica a galvani.zzarla, era meglio cercar la vita dov’era, e fondare un edifizio nuovo di pianta”. Sarà la Giovine Italia.

Diventa legittimo domandarsi, a questo punto, se i Carbonari si consideravano Massoni. Anche qui la risposta è relativa e un po’ confusa. Diciamo che dipendeva dai tempi e dai luoghi. � certo che i sentimenti dei Carbonari di Venezia, alcuni dei quali si fusero letteralmente col Rito di Misraim, non poterono essere gli stessi dei Carbonari Napoletani fra il 1810 e il 1815 che, sotto l’azione di Murat, videro le loro Vendite proscritte nel momento in cui una Massoneria di tipo francese veniva stabilita. Sappiamo per altro che Massoni e Carbonari si riconoscevano fra loro, e che venivano affiliati nei gradi che possedevano quando i membri dell’una si presentavano a farsi ricevere dall’altra parte.

Tuttavia un anno dopo i ridicoli episodi raccontati da Mazzini il cadavere della Carboneria avrà un ultimo sussulto. La sfortunata impresa di Ciro Menotti. Stessa vicenda di Carlo Alberto: qui è il duca Francesco IV a dar la corda ai piani dei carbonari per poi ritirarsi all’ultimo momento per timore degli austriaci facendo arrestare il capo dei congiurati, Menotti, che sarà poi impiccato. Il moto dilagò: Bologna, Parma, Reggio, le Romagne, le Marche l’Umbria, fermandosi ai confini del Lazio. I moti del ’31 in un certo senso furono simili a quelli di dieci anni prima a Napoli. Si conquistarono le città quasi senza colpo ferire, si affidò il potere ad ex funzionari napoleonici, gente ultra-moderata, i “liberali vecchi” come venivano chiamati. Ci si aspettava l’aiuto della Francia che non ci fu. L’unico scontro d’un certo riguardo avvenne a Rimini il 25 marzo: un combattimento onorevole dove l’esercito dei carbonari al comando del generale Zucchi contro gli austriaci, che tra l’altro ispirò il primo scritto politico di Mazzini pubblicato in Francia (era allora in esilio) “una notte di Rimini nel 1831”.

Ciro Menotti (Museo del Risorgimento, Roma)

L’analisi dell’ultima sconfitta non è diversa da quella napoletana. Situazione internazionale mutata, ma non ancora in grado di ostacolare il ruolo di gendarme della tirannia esercitato dagli austriaci, mancanza di coesione interna e di collegamento fra i vari gruppi e di un organizzazione centrale, una ritualità sempre più raffazzonata, mancanza di un progetto politico (o forse il progetto politico era diventato talmente occulto da esser ormai conosciuto da un gruppo ristretto ormai alla ventura), gruppi dirigenti vecchi. Lasciamo perdere l’analisi dell’assenza delle classi popolari perché è un’analisi idiota.

A una Massoneria della pietra che nel periodo fra il 1810 e il 1840 fu sul piano europeo legittimista, si oppose dunque una  Massoneria del legno, insurezionalista, certo più progressista, ma altrettanto velleitaria e dalle troppe anime. Aldilà di tutti questi difetti l’utopia carbonara poteva dismettere il suo abito terreno, aveva comunque dato l’avvio alla grande scuola democratica, col suo senso della necessità delle riforme, costituzionali, ma anche agrarie e industriali e culturali. Con le sue esperienze fatte di pregi e difetti, di luci e ombre, aveva comunque gettato le basi del Risorgimento, e in questo senso fu davvero la matrice o la madre del Risorgimento Italiano.

Restava il problema della costituzione di una vera  e propria Massoneria Nazionale, assieme alla realizzazione dell’unità italiana. Infatti non esisteva in Italia una comunione massonica nazionale.
A somiglianza di quella che era la situazione politica degli stati anche nel campo massonico vi era disparità di Logge appartenenti a vari Riti, in maggioranza dipendenti dai Supremi Consigli di Francia ed in misura minore da altri paesi, in primo luogo l’Inghilterra. Ci avrebbe pensato, con alcuni suoi fedelissimi nel 1859, uno che all’epoca del Congresso di Vienna era un bambino di nome Camillo, un po’ troppo obeso e che tentava con tanta fatica dei genitori di imparare l’abbecedario. Ma questa è la storia di Cavour e della Loggia Ausonia e del Grande Oriente Italiano. Un’altra storia� ma in questo caso, diversamente dalla Carboneria troppo velleitaria e, col tempo, un po’ cialtronesca, disunita senza un programma chiaro, con fini troppo troppo temporali, per non dire estemporanei, il programma qui c’era e ben definito. Riportiamo testualmente i principi fondamentali della Loggia Ausonia che dara vita al GO italiano e cioè: “all’interno: costituire l’Italia Libera ed Una; all’estero: agevolare per mezzo delle Logge e delle Associazioni massoniche sparse
per il mondo i rapporti internazionali, facilitare i commerci, abbattere i pregiudizi che dividono popolo da popolo, preparare la vera fratellanza degli uomini per mezzo di una grande Confederazione dei popoli civili uniti tra loro.” Un programma che sembra scritto oggi.

Moreno Neri

Nota Bene: Per chi vuole saperne
di più sulla Carboneria consigliamo vivamente di consultare le ottime
pagine del sito

http://www.carboneria.it/