LIBERTÀ POLITICA, LIBERTÀ ECONOMICA, LIBERTÀ SENZA AGGETTIVI: ALCUNE IDEE DEL LIBERALISMO DI INIZIO SECOLO

Il termine libertà ha una forte connotazione laudativa. Pertanto lo si adopera per coprire qualsiasi azione, politica o istituzione ritenuta dotata di valore. È invece molto difficile trovare delle definizioni esplicite della libertà in termini descrittivi, tanto che il significato di questa può essere reso chiaro solo in riferimento al contesto in cui viene usato. Questa sera ci occuperemo della libertà in riferimento all’azione dell’uomo – e quindi anche alla politica – e non della libertà interiore, e questo non certo perché questo aspetto sia meno importante del primo. L’antico problema del libero arbitrio è un nodo da sciogliere ancora fondamentale sul piano morale, tuttavia considerando il modo in cui l’uomo del terzo millennio parla e scrive della sua libertà, interessa solo marginalmente constatare che anch’egli, in quanto natura, è soggetto alla legge di causalità e pertanto oggetto di studio della biologia, dell’antropologia e della psicologia: la libertà interiore, dal punto di vista scientifico ed empirico, non sarà mai dimostrabile e neppure il suo contrario. L’uomo contemporaneo pertanto non giunge ad alcuna conclusione su questo tema, concentrando sostanzialmente l’ambito della libertà ai rapporti sociali.

liberta-01In quest’ottica la libertà con riferimento alla dimensione sociale dell’uomo può significare la condizione in cui un soggetto ha la possibilità di agire senza essere impedito o di non agire senza essere costretto da altri soggetti. Nei tempi moderni soggetti di questa libertà possono essere tanto gli individui singoli quanto i gruppi sociali etra questi il più grande dei gruppi organizzati, lo Stato, nei suoi rapporti con gli altri Stati. Pertanto si parla di libertà dell’individuo rispetto ai gruppi di cui fa parte, o di libertà di un’associazione rispetto allo Stato e di libertà dello Stato rispetto ad altri Stati. Questa pluralità di riferimenti del termine libertà contraddistingue la visone politica dell’occidente moderno da quella dell’antichità, per certi versi ancora attuale in molti paesi africani e asiatici, che riferisce la libertà solo a entità collettive quali nazioni, gruppi religiosi e classi sociali. In questo quadro, come si è detto essenzialmente moderno e occidentale, si può parlare di libertà negativa, come “assenza di….” o “libertà da…” connotandola come rimozione dei limiti e delle costrizioni all’azione di individui e gruppi, affiancandola al più antico concetto di libertà positiva, intesa come libertà di partecipare alla vita politica e sociale del proprio gruppo di appartenenza.

La compenetrazione di questi due aspetti della libertà ha permesso l’affermazione tanto delle principali libertà civili come libertà dallo Stato quanto del principio di partecipazione democratica alla vita dello Stato, dando così forma completa a quella libertà politica che nella nostra cultura appare un dato oramai acquisito.

All’affermarsi di questa visione di libertà politica nel corso dei secoli diciannovesimo e ventesimo la massoneria ha dato un contributo fondamentale. Unica società custode della Tradizione ad aver affrontato in termini positivi il tema della libertà con riferimento alla dimensione sociale dell’uomo – laddove vari tradizionalisti si sono rinchiusi in una cieco rifiuto della politica e di tutto ciò che il mondo moderno poneva in termini problematici, finendo poi per diventare strumento a loro volta di derive totalitarie politiche che nulla avevano in comune con la Tradizione che in buona fede ritenevano di difendere – la Libera Muratoria ha svolto un’azione di tutela e di promozione della libertà umana che sarebbe riduttivo circoscrivere alla sola politica. Tuttavia è indiscutibile il fatto che proprio nella vita politica i massoni hanno profuso un tale impegno in difesa della libertà tanto da compenetrare la loro cultura con l’ideale politico che dalla libertà e dall’essere libero prende il nome. A partire dal secolo scorso infatti ben pochi sono stati i Fratelli che si sono opposti alla diffusione degli ideali di libertà politica propri del liberalismo.

La definizione del termine liberale non è certo più facile di quella della libertà alla quale fa riferimento. Assertore della libertà degli individui, ma anche dei gruppi sociali e delle nazioni, il liberalismo si identifica oggi in tutto l’occidente con il concetto di libertà politica, tanto che anche i residui movimenti che affermano la necessità di un suo superamento non ne prescindono dalle sue conquiste politiche.

Oltre alla politica, il termine libertà si è imposto con riferimento all’attività dell’uomo volta alla produzione, allo scambio e al consumo dei mezzi e dei beni necessari al sostentamento dell’uomo, pervenendo così alla libertà economica. Libertà significa anche potere dell’individuo di assicurarsi cibo, alloggio e vestiario sufficiente, possedere cose proprie e poter determinare, in base ai suoi meriti, la propria condizione di vita. Gli istituti giuridici della proprietà privata e della libertà di commercio e d’impresa sono la base di questa libertà. Similmente a quanto avviene alla libertà politica, anche per quella economica si può tracciare una definizione negativa di libertà, consistente nella libertà di godere e di disporre dei frutti del proprio lavoro senza vincoli e costrizioni da parte di altri, e una positiva volta a garantire a tutti la possibilità di soddisfare almeno i fondamentali bisogni economici. Diversamente a quanto è accaduto in politica, dove i due aspetti si sono compenetrati, nel campo economico è piuttosto difficile negare l’esistenza di uno iato che ha dato luogo alla più consistente divisione tra i liberali, tra chi appunto tende a ridurre in termini minimi ogni ostacolo all’iniziativa individuale privata e chi promuove l’azione economica di gruppi sociali collettivi, non escluso il più grande di questi, lo Stato, al fine di correggere e rimediare alle posizioni di forza di centri di potere (economico) che precludono ogni potere di scelta dei non abbienti. Nasce da qui la lunga e tuttora aperta dialettica tra liberisti e liberali, termine quest’ultimo con il quale impropriamente, ma oramai senza contestazione, nel mondo anglosassone prima e in Europa poi vengono definiti quei liberali che, accanto alla libertà, cercano di realizzare anche il principio di eguaglianza (e di giustizia), almeno inteso in termini di eguali opportunità. Talvolta i liberali non hanno esitato ad allearsi con le forze socialdemocratiche a sostegno di politiche di programmazione economica e significativamente le più importanti misure del Welfare State sono opera di liberali. Tuttavia esistono delle distinzioni fondamentali tra liberali e socialisti riconducibili al fatto che i primi, da veri liberali, riconoscono all’individuo un valore in quanto tale, e non in quanto membro di una classe sociale, di un sindacato o di qualsiasi genere di persone. Il potere politico e talvolta economico che i liberali attribuiscono allo Stato sociale avviene sempre in forza di una delega, sempre revocabile, da parte della maggioranza degli individui che incontra come limite invalicabile il primato dell’individuo e dei suoi diritti, il governo limitato e l’inviolabilità della proprietà privata.

All’interno di questo quadro si è sviluppato il dibattito liberale tra le due metà del secolo decimarono e la prima parte del secolo scorso. In questo periodo la libertà politica e la libertà economica si sono affermate nei confronti dei loro più temibili avversari, dal fascismo al comunismo, e anche le classi lavoratrici escluse e sfruttate del capitalismo industriale “classico” hanno fatto propri, almeno in America e in Europa, i valori liberali. Nonostante questo anche per la libertà e il liberalismo non si assiste a quella fine della Storia profetizzata troppo in fretta. Anzi negli ultimi decenni il concetto di libertà si è esteso al di fuori dei terreni classici della politica e dell’economia, coinvolgendo aspetti della vita privata quali ad esempio la sicurezza dell’integrità e della salute personale, la libertà di scegliere la propria vita sessuale e tutto quello che, in termini indefiniti ma affascinanti, ricade nella ricerca della felicità individuale. Anche gli individui ai quali riferire la libertà hanno assunto sembianze più concrete. All’individuo definito in termini astratti dai filosofi razionalisti e giusnaturalisti e a quello assai più concreto ma anche più gretto del capitalismo industriale, quasi sempre tutelato nella sua dimensione di soggetto economico della classe borghese, si sono sostituiti gli uomini e le donne in carne e ossa: madri lavoratrici, minori, neri, minoranze sessuali….

A partire dagli anni sessanta ai liberisti e ai liberali che si accapigliavano sull’intervento dello Stato nelle misure di benessere sociale si sono aggiunti quelli che nel mondo anglosassone vengono definiti libertari e rivendicano la necessità di limitare il più possibile l’intervento dello Stato nelle questioni morali. Curiosamente i liberali sono giunti alla libertà morale in una maniera che sembra piuttosto tardiva rispetto ad alcune forze del movimento socialista e anarchico. La stessa libertà sessuale e alcune delle sue concretizzazioni (parità dei sessi, controllo delle nascite, riconoscimento di forme di sessualità non conformiste, convivenze extra matrimoniali, a titolo esemplificativo) prima di diventare patrimonio di almeno una parte dei liberali, è stata propugnata da movimenti ostili al capitalismo. Tuttavia i libertari hanno rimediato al ritardo realizzando nei fatti quello che molti socialisti avevano sostenuto a malapena a parole. Mentre i vari Wilhelm Reich e Rosa Luxembourg – vittime delle loro delusioni non meno che del sistema repressivo del capitalismo – non avrebbero mai visto trionfare la rivoluzione sessuale nei paesi “sovietici”, e nei paesi socialisti si sono viste leggi contro l’omosessualità e un sostanziale permanere della condizione d’inferiorità della donna, nei paesi occidentali si è registrato il più radicale cambiamento di costumi dai tempi dell’affermarsi del cristianesimo.

All’inizio di questo secolo l’idea di libertà sembra quindi attraversare un periodo di inaspettata vitalità e i suoi propugnatori non esitano a riprendere temi classici con nuova foga.

Per i liberali di oggi il governo non può essere nulla di più di una creazione degli individui, di un servitore dei loro bisogni quotidiani, mentre viene ripudiata la dottrina di chi vede nello Stato una sorta di dio, qualcosa di più grande e di più sacro degli individui. Conseguentemente viene propugnato un sostanziale ridimensionamento dei pubblici poteri, a cominciare da quello legislativo, la cui funzione non può mai essere etica ma solo convenzionale e istituzionalmente volta ad uno scopo meramente temporaneo. Il potere dello Stato, quando non è rubato, è nella migliore delle ipotesi preso in prestito dagli individui sulla base di una delega sempre revocabile. In ultima istanza il potere pubblico esiste a causa dl male insito nella natura umana ed esiste per mezzo del male; attraverso l’uso della forza lo Stato impiega le armi del male per soggiogare il male ed è nello stesso tempo contaminato dagli oggetti con cui ha a che fare e dai mezzi con cui opera.

Nelle letture più radicali la stessa delega di potere legislativo da parte del popolo appare come una completa falsità, il cui unico scopo è quello di coprire e nascondere una mera usurpazione, grazie alla quale un gruppo di uomini esercita un dominio arbi¬trario su altri uomini. Che il potere legislativo sia una mera usurpazione perpetrata da coloro che arbitrariamente lo esercitano sarebbe provato dal fatto che l’unica delega di potere che si sia mai dichiarato o finto di avere fatto avviene segretamente – nelle urne elettorali – e non in maniera aperta e visibile a tutti. La delega quindi non proviene da uomini che si rendono personalmente responsabili, come mandanti, degli atti di coloro ai quali dichiarano di volere delegare il potere. Dato che la delega di potere è stata concessa segretamente, non uno dei legislatori che dichiarino di esercitare solo un potere delegato possiede una qualche conoscenza legale, o può fornire una qualche prova legale in grado di indicare gli individui che glielo hanno delegato. Chiaramente, in presenza di uomini che esercitano un potere su altri uomini e che pretendono di esercitare solo un potere delegato, ma che non possono mostrare chi sono i mandanti né provarne l’esistenza, si può presumere, legalmente e razionalmente, che questi non abbiano alcun mandato e che perciò non stiano esercitando alcun potere se non il proprio. Da questo principio discende una serrata critica di ogni forma d’intervento statale. L’accertamento e la riscossione coattiva delle tasse è in se stessa un’aggressione rivolta al diritto della proprietà naturale di se stessi e dei propri beni. Quanto più lo Stato incrementa le spese per la sicurezza sociale e la salute pubblica, tanto più la proprietà privata è espropriata, confiscata, distrutta e gli individui sono privati del reale fondamento di tutte le protezioni: l’indipendenza economica, la solidità finanziaria e il benessere personale.

Lo stesso principio di solidarietà, invocato dai sostenitori dell’intervento pubblico, viene “demitizzato”. Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato assistenziale provoca la perdita d’energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti con enormi crescita di spese. La morale del resto implica la libertà e il valore morale della solidarietà obbligatoria, non libera, è nullo.In questa ottica la solidarietà tra gli uomini deve nascere spontaneamente attraverso le forze che operano liberamente nella società, quali associazioni umanitarie e religiose. Con parole secche ma efficaci l’economista Milton Friedman ha proposto un nuovo emendamento costituzionale: “chiunque è libero di fare del bene, ma a sue spese”.

Il valore di libertà “classiche” a tutela dell’individuo contro lo Stato assolutista – libertà di pensiero, di opinione – sono riaffermati nei confronti di uno Stato paternalista e conformista. Il più grande pericolo per lo Stato viene ravvisato nella critica intellettuale indipendente; non c’è modo migliore per soffocare quella critica che attaccare ogni voce isolata, ogni seminatore di dubbi. Una possente forza ideologica è infatti deprecare l’individuo e esaltare il collettivo della società. A questa forma di moderna oppressione il liberalismo di inizio secolo contrappone l’individualismo più libero.

La situazione dei propugnatori della libertà politica, economiche e “morali” oggi è ben riassunta dalla frase di Barry Goldwater: “L’estremismo in difesa della libertà non è un vizio“. L’individuo, che il comunismo a sinistra e il fascismo a destra avevano relegato a comparsa della Storia, ne è tornato protagonista. Il liberalismo del ventunesimo secolo rilancia il suo spirito critico tanto a difesa delle nuove libertà quanto a riscoperta di quelle vecchie.

Andrea Reggio