Simbolici Famosi :: Pier Carlo Boggio (1827-1866)

Deputato e patriota. Giornalista e professore di diritto costituzionale, fu deputato dalla 6a alla 9a legislatura. Cadde combattendo nelle acque di Lissa, nell’affondamento della fregata Re d’Italia, in qualità di volontario e col grado di sottotenente di vascello.

Pier Carlo Boggio
Pier Carlo Boggio

Pier Carlo Boggio, nato il 3 novembre 1827 a Torino, fu figlio di un veterano dell’esercito repubblicano francese. Trascorse la prima giovinezza in Svizzera, ove il padre si era stabilito in volontario esilio. Nel 1846 si recò a Parigi, dove iniziò la sua carriera di giornalista collaborando alla Gazzetta italiana fondata dalla principessa Belgioioso. Rimpatriato nel 1848, si laureò in giurisprudenza a Torino e in seguito ottenne la cattedra di diritto costituzionale che illustrò pure in libri, pubblicando nel 1852 le Dissertazioni sul diritto, e nel 1861 il primo (rimasto poi unico) volume delle sue Lezioni di diritto costituzionale dette nel Regio Ateneo Torinese. Già nel 1848 aveva stretto amicizia con Cavour, che lo volle come collaboratore del giornale Il Risorgimento sul quale Boggio difese strenuamente le idee del futuro ministro. Successivamente diresse i tre giornali Il Conciliatore, L’Indipendente e La Discussione, da lui fondato con Carlo Michele Buscalioni, anch’egli Fratello della Loggia Ausonia, giornale dal programma strettamente cavouriano.

Fu deputato nella 6a legislatura (1858-59) per il collegio di Caluso, nella 7a e nell’8a per quello di Valenza (1860-65); nella 9a, rieletto a Valenza ed eletto a Cuneo, optò per Cuneo. Alla Camera sedette a destra: si mostrò caldissimo fautore dell’unità nazionale e propugnò una prudente politica finanziaria, opponendosi sempre alle spese non strettamente necessarie (vedi la sua proposta di 500.000.000 di prestito volontario-forzoso pei contribuenti, Torino, 1865). Parlava con brio e vivacità, riuscendo sempre a cattivarsi l’attenzione dei colleghi.

Il 29 aprile 1859 il conte Karl Buol, ministro degli esteri austriaco, inviava una lunga circolare alle sedi diplomatiche austriache, in cui, fra l’altro, irrideva alle glorie italiane di Casa Savoia: “L’ambizione d’una Dinastia, la cui vana e frivola pretesa all’avvenire dell’Italia non è giustificata né dalla natura, né dalla storia di questo paese, né dal suo proprio passato e presente, non rifuggì dall’entrare in un’alleanza contro natura coi poteri del sovvertimento”. Il conte denuncia l'”abuso criminoso del sentimento nazionale delle popolazioni italiane” sistematicamente operato dalla corte di Torino che, grazie ad una “stampa sfrenata”, accusa “ipocritamente le condizioni degli Stati d’Italia” per attribuire al Piemonte “l’ufficio di liberatore”. Il Piemonte che provoca la guerra non ha affatto a cuore la prosperità della popolazione italiana, concludeva il ministro, affermando che con la guerra che scatena il regno sardo s'”impedisce ed interrompe uno stato di regolare impulso e di svolgimento ripieno d’avvenire”. Nel quadro della campagna antiaustriaca rispondeva Pier Carlo Boggio, incitando gli italiani alla guerra e ricordando un fatto. L’Austria “ripiena d’avvenire” si era spinta fino a decretare la leva obbligatoria, e Boggio denunciava: “dopo avere stremati i beni degl’infelici popoli soggetti alla sua forza bruta”, li ha colpiti “nei sentimenti i più sacri e i più potenti, col rapire ai genitori cadenti fin l’unico figliuolo, solo sostegno, solo conforto loro”. Il fatto è – e lo stesso Boggio lo ricorda – che l’imperatore austriaco tenne conto del coro di proteste che accompagnò la decisione della leva obbligatoria e sospese il provvedimento.

Ben diversamente dall’austriaco agì Boggio. Nella guerra del 1859, verso la metà di maggio, andò a S. Giorgio nel Canavese, uno dei due comuni del suo collegio, raccolse e arringò la popolazione sulla piazza maggiore, e, messosi alla testa di 22 volontari, armati a cura del Municipio, li condusse ad Ivrea, minacciata dagli Austriaci, prima dell’arrivo dei volontari di tutti gli altri comuni del Canavese. Lo stesso Pier Carlo Boggio narrò quest’episodio nel 2° volume della sua Storiadella guerra del 1859 (p. 385) e conservò i nomi dei volontari (p. 571 e cfr. anche La campagna del 1859 intercalata nelle annate 1893-94 dell’Illustrazione militare italiana, p. 70). Discutendosi nel maggio 1860 alla Camera il trattato di Compiègne, Boggio propose un voto che dichiarava Nizza e la Savoia altamente benemerite dell’Italia.

Pier Carlo Boggio
Pier Carlo Boggio

Tranne che nel 1857, quando parve scostarsi da Cavour dando il proprio nome a quell’aborto che fu il cosiddetto “terzo partito” (vedi l’opuscolo di Boggio Né ministeriali né retrivi, Torino, 1857), Boggio appoggiò sempre il grande ministro (che gli dimostrò in cambio stima e profondissimo affetto), e spiegò i vantaggi della politica liberale mettendola a confronto con quella retriva del conte della Margherita (vedi l’opuscolo Avanti o indietro? Storia e confronti: 12 anni d’assolutismo e il conte della Margarita; 10 anni di libertà e il conte di Cavour, Torino, 1858). Invece verso i repubblicani che circuivano Garibaldi si mostrò sempre severissimo, e nell’opuscolo Cavour o Garibaldi? (Torino, 27-29 settembre 1860: si noti la data, posteriore all’ingresso di Garibaldi a Napoli, anteriore al passaggio dell’esercito di Vittorio Emanuele nel Reame borbonico), dopo aver dimostrato che l’onore ed il merito dell’unificazione italiana spettano alla lealtà del gran Re, al senno di Cavour, all’eroismo di Garibaldi, alla generosità di Napoleone III, combatte le opinioni contrarie di Brofferio (di cui vedi l’opuscoloGaribaldi o Cavour?, Milano, 1860, estr. da I miei tempi), dell’autore del Piovano Arlotto, ovvero di Francesco Domenico Guerrazzi, e dello stesso Mazzini, mira a separare Garibaldi, sempre leale verso la monarchia sabauda, dal partito che lo attorniava e cercava di far rimandare l’annessione dell’ex-regno borbonico e la proclamazione del Regno d’Italia, finché Roma e Venezia non fossero state liberate, e conclude, non più con la domanda dubbiosa, con cui l’opuscolo s’intitola, bensì col grido convinto “Cavour e Garibaldi!”. Il noto opuscolo fu in quell’epoca da tutti proclamato come la più efficace e poderosa difesa della fama e della politica del sommo statista torinese. Pertanto verso il partito d’azione, che spingeva Garibaldi a muovere innanzitempo su Roma, Venezia e Trento, Boggio si mostrò pure severissimo, al punto che non esitò a biasimare, con tutto il rispetto dovuto, Garibaldi (vedi l’opuscolo Garibaldi o la legge?: appello al popolo italiano; e l’altro La paura: opuscolo in continuazione di Garibaldi o la legge?, Torino, 1862; e la risposta di Carolina Toscani Sartori, Confutazione all’opuscolo Garibaldi o la legge? di Pier Carlo Boggio, Torino, 1862), che lasciava fare in onta alla legge, come Giorgio Pallavicino-Trivulzio che essendo prefetto a Palermo permetteva gli arruolamenti dei volontari garibaldini. Anzi nel luglio di quell’anno 1862 Boggio interpellò il ministro Rattazzi sull’azione di Garibaldi e gl’intendimenti del Governo in conseguenza, e poi in una lettera aperta al marchese Pallavicino Trivulzio, senatore del Regno, attaccò vivacemente il benemerito patriota, incolpandolo di non avere ottemperato agli ordini perentori del Governo stesso. Alla lettera di Boggio – nella Discussione del 29 agosto – rispose Pallavicini (Risposta di Pallavicini al deputato P. C. Boggio, Torino, 1862, con la lettera di Boggio riprodotta) giustificando pienamente il proprio operato. Pier Carlo Boggio fu iniziato nella L.:. Ausonia di Torino il 25 febbraio 1860 (vedi Pietro Buscalioni, La Loggia Ausonia e il primo Grande Oriente Italiano, Brenner, Cosenza, 2001, p. 48). Franco, impavido, irremovibile innanzi ai dissensi e ai clamori dell’epoca, fu considerato “il cavaliere senza macchia e senza paura della Loggia Ausonia” ( vedi in Op. cit., p. 184).

Quando nel marzo 1861 Vittorio Emanuele II veniva proclamato re d’Italia, Boggio, collaboratore di Cavour, così salutava Vittorio Emanuele II: “Principe generoso e magnanimo, Principe che i popoli salutano Redentore, Principe, innanzi a cui si attutano le passioni, si dileguano i sospetti, si sciolgono i dubbi, Principe che ha il dono meraviglioso della fede inconcussa che converte e trascina, Principe, miracolo dell’età nostra fortunata. Principe che passerà alla memoria dei posteri col nome di Re Galantuomo”.

Nel 1863 il Bollettino del Grande Oriente Italiano scriveva: “… le nazioni riconoscevano nell’Italia il diritto di esistere come nazione in quanto che le affidavano l’altissimo ufficio di liberarle dal giogo di Roma cattolica. Non si tratta di forme di governo; non si tratta di maggior larghezza di libertà; si tratta appunto del fine che la Massoneria si propone; al quale da secoli lavora, a traverso ogni genere di ostacoli e di pericoli”.

Anche dopo la morte di Cavour, Boggio resto sempre più devoto alla memoria e alla politica dello statista piemontese e fu solito, per indole e per generoso impulso, a trovarsi sempre all’avanguardia in ogni avvisaglia per difendere e sostenere le idee del suo partito con l’efficacia della sua parola e dei suoi scritti, come già aveva mostrato nel 1861 colle sue fiere interpellanze in Parlamento contro la convocazione delle Società rivoluzionarie a genova e contro tutto quanto doveva poi venir tentato in seguito in quell’anno da Garibaldi coi fatti di Samico e di aspromonte.

Nel 1865 Boggio [a sinistra in una fotografia dell’epoca con il suo immancabile occhialino] visitò Pio IX a Roma e volle studiare da vicino la popolazione romana (vedi tra alcuni suoi opuscoli in proposito, La questione romana studiata in Roma: impressioni, reminescenze, proposte, (Torino, 1865). Oltre, agli opuscoli già citati, altri Boggio ne pubblicò nelle principali occasioni politiche (1855, 1859, 1863, 1864), specialmente a proposito della convenzione del settembre 1864 con la Francia e dei moti che ne derivarono a Torino (in forma di tre lettere ad Emilio Olivier, allora deputato al parlamento francese), ma compose anche opere di una certa mole come La chiesa e lo stato in Piemonte : sposizione storico-critica dei rapporti fra la Santa Sede e la corte di Sardegna : dal 1000 al 1854 / compilata su documenti inediti per Pier Carlo Boggio (pubblicata in 2 voll. nel 1854 allorché maggiormente ferveva nel Regno di Sardegna la lotta fra le due potestà), da cui si vuole che Cavour traesse la famosa formula Libera Chiesa in Libero Stato. Nell’opera si assume come punto di partenza che lo Stato non ha giurisdizione che sugli atti esterni dell’uomo in rapporto alla sicurezza ed al benessere della società, e la Chiesa non ha giurisdizione che sulle coscienze ed in rapporto alla salute individuale dell’anima di ciascuno, onde la società politica e quella religiosa debbono coesistere parallele ed indipendenti ciascuna nella sua sfera. E si legge altresì nel mezzo d’una terribile requisitoria contro le mene antipatriottiche ed anticivili dei gesuiti e della fazione teocratica: “Lo spirito religioso vuole rendere perfetto l’individuo. Questo principio, trasportato nell’ordine politico, dà luogo ad una serie di provvedimenti tanto più vessatori ed oppressivi quanto è maggiore in chi li sancisce la persuasione di agire nell’interesse di coloro contro i quali son diretti – non v’ha tiranno più inflessibile e pertinace di colui che si crede avere da Dio il mandato di governarvi al fine di procurarvi il bene eterno – non libertà di pensiero, non coltura di studi, non progressi d’industria, non prosperità di commerci, ma prostrazione, ignoranza, povertà, fiacchezza, tali sono i frutti ordinari dei governi ieratici”.

Di pari mole fu la biografia Da Montevideo a Palermo: Vita di Giuseppe Garibaldi fino alla presa di Palermo (che ebbe nello stesso anno 1860 ben dieci edizioni: a Torino, a Palermo, a Napoli, a Bruxelles e a Londra, a quanto dice lo stesso Boggio in Cavour o Garibaldi? p. 20 nota, ma noi siamo riusciti solo a rinvenire, oltre all’edizione torinese, solo un’altra in Catania, stampata dalla Tipografia C. Galatola), una Storia politico-militare della guerra dell’indipendenza. italiana: (1859-60) compilata su documenti e relazioni autentiche (voll. 3, Torino, 1860-67; il terzo vol. con un bel ritratto dell’autore è postumo).

Importante è anche un commento alla Leggi provinciali e comunali (in collaborazione col collega ed amico Antonio Caucino, Torino, 1860). A proposito di quest’ultimo scritto nell’agosto 1859 Cavour aveva inviato in Lombardia Boggio, affinché prendesse più diretta cognizione dell’ordinamento amministrativo di una zona nella quale era forte la tradizione autonomista derivante dalle riforme teresiane. Ciò non impedì al governo di operare in quella parte d’Italia l’estensione pura e semplice delle norme sabaude. Lo rilevava, non senza rammarico, lo stesso Cavour nel maggio dell’anno seguente, intervenendo nel corso di un dibattito alla Camera. Nell’occasione egli aveva difeso la scelta di concedere una limitata autonomia alla Toscana, motivandola come rettifica dell’orientamento errato tenuto dopo l’annessione della Lombardia. Ma la pratica di estendere la legislazione sabauda ai territori annessi trovò il suo coronamento nell’emanazione per tutto il regno di un ordinamento degli enti locali ricalcato sulla Legge Rattazzi (che fu acerrimo avversario di Boggio) del 1859, emanandosi nell’ottobre 1861 una serie di decreti che sancirono la svolta centralizzatrice.

Scoppiata la guerra del 1866, Pier Carlo Boggio decise di prendervi parte volontariamente e il 15 giugno, ottenuto il grado di sottotenente di vascello, s’imbarcò sulla fregata Re d’Italia ammiraglia di Persano, a Taranto. La partecipazione di Boggio alla campagna navale della Terza Guerra d’Indipendenza, voluta per prendere Venezia e ottenere qualcosa di più in Trentino, fu variamente giustificata: si disse che lo spingeva il desiderio di decidere come avvocato le questioni di diritto marittimo internazionale che potessero insorgere, oppure il desiderio di scrivere con la competenza di un testimonio oculare la storia della campagna, oppure ancora, come scrisse lo stesso Boggio all’avvocato Caucino, il desiderio di non lasciare ai soli deputati di sinistra “il merito di far sacrificio di sé”. Amicissimo di Persano che gli comunicava persino le istruzioni del Governo, scrisse da bordo della Re d’Italia varie lettere a Caucino, a Depretis, alla moglie, lettere importantissime per lo studio di quella infausta campagna, benché sinora siano state variamente interpretate. Quando, trovandosi l’armata ad Ancona (giugno-luglio), vi arrivò Depretis, Boggio si incontrò col ministro e difese presso di lui l’ammiraglio, accusato di non aver inseguito Tegethoff e la sua flotta austriaca, e poi si adoperò per comporre il dissidio sorto fra i due uomini. Nel consiglio di guerra che si tenne il 14 luglio, lo stato maggiore italiano intimò a Persano di far qualcosa, pena la destituzione. Persano decise di attaccare Lissa, un’isola dalmata con un discreto porto, difesa da parecchie batterie costiere. Nell’ultima sua lettera a Depretis (19 luglio) Boggio dice di essere stato il giorno 18 sul cassero della Re d’ltalia, durante il combattimento coi forti di Lissa, dalle 11 del mattino alle 6.30 della sera: “… il vostro umile corrispondente … le ha in buon piemontese, tirate verdi, con una pioggia di granate che facevano a un tempo la musica e il ballo. Ma i miei colleghi dal cassero hanno cantato il dignus est intrare e tanto basta”. Notevole è il presagio di quanto poi avvenne nella lettera a Caucino del 14 luglio: “… temo che affonderemo gridando, si, evviva al Re ed alla patria, ma l’Adriatico rimarrà nella padronanza dell’Austria”: soprattutto, sosteneva Boggio, perché l’armata era sprovvista di molte cose necessarie. Per due giorni, dunque, le navi italiane bombardarono l’isola, senza ottenere granchè e anzi ricevendo parecchi danni dalle batterie nemiche. Infine il 20 luglio Tegethoff uscì dal porto di Pola, dov’era ancorata la flotta austriaca e si schierò innanzi a Lissa. La battaglia non durò che un’ora e fu diretta da Persano con rara imperizia. La Re d’Italia e la cannoniera Palestro furono affondate, riportando le navi austriache pochissimi danni. Né Persano, pur avendo molte probabilità di vittoria, contrattaccò, ma, scoraggiato e sfiduciato, rientrò in Ancona. I morti italiani furono 620, quelli austriaci 38, ma degli italiani solo 8 erano periti combattendo, tutti gli altri annegarono nell’affondamento delle due navi. Comunque, il 20 luglio Boggio non volle seguire l’ammiraglio Persano sull’Affondatore e fu uno dei naufraghi della Re d’Italia. Di lui disse il capitano di fregata Andrea Di Santo, sottocapo di stato maggiore di Persano e superstite della fregata affondata: “… facendo fuoco col suo revolver e valendosi dell’occhialino, cercava di vender cara la propria vita”; e Vecchi della Principe Umberto: “Pier Carlo Boggio a mala pena reggevasi a galla. Alfredo Bosano, tenente di vascello gli disse: – Vengo a salvarla; si regga! – Ma abbrancato dal povero Bosano colò a fondo con lu ” (Augusto Vittorio Vecchi, Memorie di un Luogotenente di Vascello, Firenze, 1897, p. 302).

La battaglia di Lissa in una stampa dell'epoca conservata al Museo del Risorgimento di Milano
La battaglia di Lissa in una stampa dell’epoca conservata al Museo del Risorgimento di Milano
Esplosione della "Palestro" in una stampa dell'Archivio Rizzoli
Esplosione della “Palestro” in una stampa dell’Archivio Rizzoli

Si spegneva cosi una vita onesta e leale, proprio quando le si veniva schiudendo il più brillante avvenire. Le carte del Boggio furono salvate da una nave dell’armata austriaca. Il 5 settembre successivo furono celebrati a Torino solenni funerali in onore del deputato defunto, al quale la città di Cuneo dedicò sullo scalone del palazzo municipale una lapide con questa epigrafe: “Questo / monumento popolare / solennemente inaugurato / dal Municipio addì 3 giugno MDCCCLXX VIIII / ricorda il nome e le virtù / di Pier Carlo / Boggio / deputato di Cuneo / al Parlamento Nazionale / oratore infra i primi eloquente/ il quale per carità di patria / soldato volontario nella guerra / dell’indipendenza italiana / nell’anno MDCCCLXVI / restò sommerso con altri prodi / nelle acque di Lissa / esempio raro di grandezza d’animo / e di coraggio”. Un busto di marmo gli fu inaugurato nell’università di Torino, con quest’altra epigrafe: “Pier Carlo Boggio, nato in Torino il 3 febbraio 1827, ebbe ingegno grande, pieghevolissimo, dottrina vasta e varia, animo arditamente amico del vero, parola arguta, prontissima, singolare operosità nell’insegnamento del Diritto Costituzionale. Nella Stampa, nel Foro, nel Parlamento alle speranze rispose: maggiori ne dava. Perito nelle acque di Lissa, il 20 luglio 1866, accrebbe il lutto e il danno d’Italia”.

Oltre alle opere già citate, cfr. Emilio Pinchia, Pier Carlo Boggio e il suo pensiero civile, nella Nuova Rassegna, 25 febbraio e 4 marzo 1894. Per la corrispondenza con Cavour cfr. la raccolta delle Lettere edite ed inedite di Camillo Cavour pubblicate e illustrate da Luigi Chiala (Torino, 1884-87); per la collaborazione nel Risorgimento, vedi, oltre a questo giornale, i Ricordi politici di Giuseppe Torelli (Milano, 1873). Sulla separazione di poteri fra Stato e Chiesa cfr. Arturo Carlo Jemolo, Chiesa e Stato in Italia dalla unificazione a Giovanni XXIII (Einaudi, Torino, 1965, ristampato più volte), ricordando che Cavour, tutto preso dalla vita politica, non scrisse libri e che chi volesse addentrarsi ulteriormente nell’essenza della dottrina separatista che ispirava la sua azione, deve consultare il citato libro del suo fedelissimo Pier Carlo Boggio, La Chiesa e lo Stato in Piemonte. Cfr. anche di Giovanni Faldella Galleria piemontese: Libro III.Lo Spirito delle acque e lo Spirito delle armi. Con un profilo di Pier Carlo Boggio (Torino, 1930) e di Alfredo De Donno, Vita, pensiero e azione di Pier Carlo Boggio con prefazione di Roberto Cantalupo (Roma, 1965). Tra le opere di Boggio notevole è pure il Discorso del Boggio agli elettori del collegio di Cuneo (5 novembre 1865), riassunto delle idee politiche del deputato. Ricordiamo inoltre De coercitionibus ecclesiasticis (Torino, 1852).

Moreno Neri

SimboliciFamosi